Paolo Marchi
Attenti: irrompono i «fast-chef», cuochi pluristellati che si mettono in testa di preparare il panino con lhamburger migliore al mondo, dando per scontato che quello del fast-food è il peggiore (al prezzo migliore se si prescinde dalla qualità degli ingredienti). In attesa che anche in Italia i grandi hotel e le grandi griffe puntino sui super-chef, e che le eccezioni (Heinz Beck al Cavalieri Hilton di Roma e Andrea Berton al Trussardi di Milano, città che vede da tempo Nobu apparecchiare svogliatamente per Armani) diventino la regola come in Francia e in Spagna, unaltra buona idea spagnola, il Big-Mac griffato, sta attecchendo da tuttaltra parte del globo: lAmerica.
Non che noi italiani dobbiamo necessariamente copiare a occhi chiusi temi altrui, si tratta piuttosto di riuscire a declinare differenti momenti ristorativi, dallalta cucina più esclusiva a scendere che non è come dire dal fast-food più becero a salire perché cambia chi sta idealmente ai fornelli, un volto noto e non il primo disperato che passa per la strada.
Tanto per cambiare, tutto parte da unidea di Ferran Adriá, il catalano che Time ha collocato tra i cento personaggi più influenti del pianeta, con suo fratello Albert che ha sviluppato una peculiarità dei cuochi francesi. A Ferran si deve il Fast Good, www.nh-hotels.com/site/fastgood, il fast food buono e quindi politicamente corretto. Dopo quello pilota a Madrid, poco distante dallo stadio del Real, ne ha aperto un secondo sempre nella capitale spagnola, quindi un terzo a Santiago del Cile e altri quattro sono in arrivo, tutti in Spagna, compresa Valencia che sta diventato la terza mecca golosa dopo Paesi Baschi e Catalogna.
Quanto ad Albert Adriá, è tra i titolari di Inopia, bar di tapas nel quartiere di San Antoni a Barcellona. Inopia in contrapposizione a opulenza (fattore che, peraltro, non contraddistingue certo la cucina a tutta essenzialità e precisione geometrica del Bulli a Roses), la riproposizione del classico bar spagnolo, messo nel tempo in crisi dal modernismo americano e da una concezione superveloce della vita quotidiana, la frenesia preferita a passi più ragionati. I «bar a tapas» messi in crisi da paninerie e fast-food esattamente come da noi è successo con le osterie, in Francia con i bistrot e in Gran Bretagna con i pub. Ce ne sono meno e non sempre spontanei, sovente i titolari cavalcano banalmente il bisogno dei più di mangiare e bere spendendo poco, senza perdere tempo e soldi nella qualità dei prodotti.
Inopia, Bulli e Fast Good hanno in comune la qualità degli ingredienti. Ha spiegato Ferran Adriá: «Chi ha pochi soldi, cerca solo di nutrirsi spendendo il meno possibile e allora i prezzi di una multinazionale sono imbattibili. Noi cuochi stellati non avremo mai basi di mercato tali da poterci permettere un pasto a due o tre euro. Ma se passiamo al gradino superiore allora la realtà cambia e il confronto con i bar è possibile». E infatti in un Fast Good si spende tra i 9 e i 18 euro.
Verso Natale sapremo invece i prezzi, in dollari, fissati da Thomas Keller per il suo hamburgherificio, il Burger and Bottles, che aprirà in Napa Valley (California) accanto al French Laundry, il ristorante top dAmerica. Keller così si sdoppierà su ognuna delle due coste perché a New York è titolare del tre stelle Per Se (dove, nonostante il nome italiano, fa cucina francese): cucina semplice e cucina alta. Alta e cara: nella Grande Mela solo menu degustazione a 210 dollari, senza vino e mancia, una legnata negli States. Ma, stesso tetto, ecco anche il Bouchon Bakery, una panineria dai prezzi umani.
Per Keller non è solo unoperazione economica come, sempre a New York, per un Danny Meyer che da quando aprì lUnion Square Café (nell85 appena 27enne) non sbaglia un colpo, nemmeno con il fast food Shake Shack o con lindiano Tabla (nonché il Bread Bar annesso per bocconi easy). Keller non si fa pregare e ammette le sue radici: «Sono americano e sono cresciuto a fast food e ora che invecchio continuo a mangiare hamburger perché mi piacciono». Se poi è lui a farli...
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