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Chi blocca la Spa antidisastri ostacola il rilancio del Paese

Con il "modello Bertolaso" si potrebbero superare le lungaggini burocratiche che oggi paralizzano le opere pubbliche in Italia

Chi blocca la Spa antidisastri ostacola il rilancio del Paese

Il governatore della Banca di Italia Mario Draghi mette in evidenza che stiamo uscendo dalla crisi con un tasso di crescita basso, ai minimi europei e che per una crescita sostenuta occorrono riforme strutturali, la cui mancanza genera perdita di competitività e di capacità di sviluppo. Mentre egli ieri faceva queste affermazioni, continuava l’attacco al modello Bertolaso e al disegno di legge per una società per azioni che attui la protezione civile, con criteri di impresa.
Fra i due eventi, la bassa crescita italiana, e l’ostinata (e interessata) resistenza al modello alla riforma della protezione civile c’è un nesso stretto. Infatti una delle principali ragioni per cui l’economia italiana cresce a passo di lumaca è costituita dalla lentocrazia e dalla avversione alla modernizzazione che la caratterizzano e che pervadono la cultura economica della attuale sinistra nostrana. Nonostante che si qualifichi come liberista, essa è ostinatamente dirigista.
I tempi delle opere pubbliche in Italia, sono biblici. Secondo uno studio del 2008 del ministero delle Infrastrutture, che ha esaminato 14mila progetti, per realizzare un’opera pubblica di valore superiore ai 50 milioni di euro, cifra modesta (un chilometro di autostrada costa circa 15-17 milioni di euro) in Italia ci vogliono mediamente 3.942 giorni, quasi 11 anni. Per la progettazione se ne vanno in media 1.204 giorni e per l’appalto (gara e aggiudicazione) 365 giorni. Per realizzare materialmente l’opera ci sono voluti 2.372 giorni, sei anni e mezzo. In Albania è stata recentemente appaltata una autostrada di 60 chilometri, che sarà realizzata in tre anni complessivi, due per il primo tratto di due terzi e uno per il restante tratto. In Italia per le opere fra 10 e 50 milioni di euro di vogliono 7 anni e tre mesi. Per quelle fra 5 e 10 milioni, mediamente 4 anni e mezzo.
Per quasi tutte le opere emerge un sistematico sforamento delle previsioni temporali iniziali, in media del 30-40 per cento. Questo studio riguarda opere nei trasporti, in particolare tratti di ferrovie, strade e autostrade: fra cui alcuni lotti della autostrada Salerno Reggio Calabria, che è perennemente in rifacimento e perciò perennemente caratterizzata da tratti a una sola corsia.
Ma le cose non vanno meglio per le altre opere. Ad esempio quelle che hanno come progettista lo studio britannico di David Chipperfield. Nel 1998 esso ha vinto la gara per l’ampliamento del cimitero di Venezia e dopo nove anni, a causa delle lungaggini, ha potuto inaugurare solo il primo pezzo del primo lotto, un’opera da 5 milioni di euro sui 25 complessivi. A Salerno nel ’99 si è aggiudicato il concorso per la cittadella della giustizia: i lavori non sono ancora completati. Nel 2000 a Milano ha vinto il concorso per la riqualificazione dell’area ex Ansaldo e solo nel 2007 è stata indetta la gara d’appalto per i lavori del primo lotto. A Verona ci sono voluti sette anni per fare un preliminare per la riqualificazione dell’area dell’ex Arsenale.
Secondo i dati di questa società di progettazione che lavora anche nel resto d’Europa e negli Usa, i tempi europei sono di media la metà di quelli italiani e quelli degli Usa un terzo. Il metodo italiano ordinario, come si vede da questi dati, ha tempi lunghissimi soprattutto a causa dal fatto che ci vogliono 4 anni e 4 mesi per la progettazione e gli appalti. Se si fosse applicato questo metodo, anziché il modello Bertolaso, i terremotati dell’Aquila sarebbero ancora nelle tendopoli e baraccopoli per parecchi anni. E la spazzatura si ammucchierebbe ancora nelle strade di Napoli.
Quando l’attuazione delle opere si prolunga, i costi salgono, perché aumentano i prezzi e perché nel costo rientrano anche gli interessi composti dal momento in cui si pagano i lavori a quello in cui l’opera è completata e comincia a rendere. Queste lungaggini riducono il volume annuo dei lavori edilizi. E la domanda in questo settore, con le industrie che vi si collegano, è uno dei principale volani della crescita e dell’occupazione.
Uno Stato con carenza di infrastrutture, inoltre, ha una bassa produttività. Prima i nemici della politica di sviluppo di Berlusconi si sono scatenati contro la legge obbiettivo, le grandi infrastrutture, il piano casa, ora contro la legge sulla società per azioni per la protezione civile. Si cerca di bloccare, con ogni mezzo, dai no global, ai no Tav, ai ricorsi, ai processi in tribunale, la strategia per rilanciare l’Italia. Chi lo fa non ha diritto di prendersela col governo per la bassa crescita dell’economia italiana.

Se la deve prendere con se stesso.

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