"Chi c... credi di essere?": al capo adesso si può dire

La Cassazione difende il lavoratore: se il capo provoca si può reagire. Assolto un dipedente che dopo aver reagito con stizza era stato licenziato

"Chi c... credi di essere?":  
al capo adesso si può dire

Roma - Non sarà proprio un semaforo verde per mandare a quel paese ogni giorno il proprio capo ma, di sicuro, qualche libertà in più ci sarà. La Cassazione ha stabilito che se durante un alterco ci si rivolge al capo dicendogli "chi c... ti credi di essere?", non si eccelle in buona educazione ma, di sicuro, non si può essere licenziati.

Espressione irriguardosa La Suprema corte ha convalidato la decisione con la quale la Corte d’appello di Napoli aveva detto "no" al licenziamento di un ausiliario di una clinica privata, che si era rivolto così al suo capo durante una discussione. Una simile espressione "irriguardosa ma non minacciosa" è da considerarsi come "effetto di una reazione emotiva ed istintiva del lavoratore ai rimproveri ricevuti" dal capo, escludendo che il fatto possa costituire "vera e propria insubordinazione", tale da meritare la "sanzione espulsiva".

Il ricorso della casa di cura Contro questa decisione la casa di cura "Alma mater" di Napoli ha protestato in Cassazione, sostenendo che Saverio M. doveva essere licenziato per il suo comportamento.

Piatti e bicchieri rotti Per due giorni consecutivi il lavoratore, incaricato di portare con un carrello le stoviglie per il vitto dei pazienti, ospitati in diversi piani, aveva rotto tutti i piatti e i bicchieri, perché pretendeva di portare il vasellame in un solo giro, e il terzo giorno aveva fatto sbattere il carrello contro le bombole d’ossigeno.

Rimprovero e risposta L’amministratore delegato, Fabrizio C., lo aveva rimproverato e Saverio gli aveva risposto per le rime. In Cassazione, la clinica ha sostenuto che ciascuno di questi tre episodi, compreso quello culminato con la frase incriminata, poteva giustificare il licenziamento. Ma la Suprema corte ha detto "no", ritenendo che nessun episodio, considerato a se stante, poteva giustificare la perdita del posto.

Ma il caso tornerà in appello Il

caso sarà riesaminato dalla Corte d’appello, che dovrà valutare se precedenti sanzioni disciplinari riportate da Saverio possano aggravare la sua posizione e motivare la sanzione più grave richiesta dalla casa di cura.

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