Chi è il colpevole

Il «declino» dell’Italia è tornato di moda. Lo ha implicitamente e involontariamente evocato il più grande artista dell’autolesionismo nostrano, Romano Prodi, parlando con un giornalista del New York Times, che subito ha costruito un lungo articolo sull’Italia infelice. Lo ha rilanciato Ilvo Diamanti con un’inchiesta su Repubblica, giornale sempre pronto a partecipare al gioco del «facciamoci del male». Lo ha parzialmente confutato sul Sole24ore Innocenzo Cipolletta, secondo cui, però, la sfiducia è «una via faticosa verso la modernità». In realtà, nei suoi fondamentali l’Italia e gli italiani stanno bene, mentre è la sua classe dirigente, in particolare la sua classe politica al governo, a essere in declino. O meglio: il malessere che il nostro Paese sta vivendo è frutto di un «fuori sincrono» tra i cittadini e la «non politica» dei 20 mesi di governo Prodi.
Guardiamo ai dati. L’economia funziona e, comunque, funzioniamo meglio di alcuni altri Paesi europei, come la Francia e la Germania. Le esportazioni hanno ricominciato a crescere, riducendo il deficit commerciale con il resto del mondo. L’inflazione ha un impatto importante sul portafoglio di tutti, ma comunque ha una dinamica inferiore rispetto al resto d’Europa. La disoccupazione è ai minimi storici grazie alla Legge Biagi voluta dal governo Berlusconi per far entrare più facilmente i giovani nel mercato del lavoro. Prodi deve ringraziare il suo predecessore anche per i «tesoretti» che sbucano da tutte le parti: come previsto, i tagli delle tasse di Berlusconi continuano ad apportare ossigeno alle finanze pubbliche. Certo, tutti noi vorremmo stare meglio e spendere di più per il cenone di Natale. Ma, tra le cattive abitudini degli italiani, c’è quella del lamentarsi perché «si stava meglio quando si stava peggio».
Il problema è che presto, se continua l’attuale «non politica» del governo Prodi, davvero si starà meglio quando si stava peggio. L’Italia sta infatti vivendo sull’onda lunga della prolungata crescita economica mondiale degli ultimi cinque anni e degli effetti positivi sull’economia delle misure del governo Berlusconi. L’onda sta per esaurirsi, mentre l’attuale offerta politica italiana è completamente sfasata rispetto alla domanda che proviene dalla società. Il «fuori sincrono» è iniziato nell'estate del 2006, quando l'Italia in ripresa chiedeva più sviluppo, meno pressione fiscale, la fine della becera contrapposizione politica, e il nuovo governo ha risposto aumentando le tasse, demonizzando i 5 anni di Berlusconi e approvando finanziarie da lacrime e sangue. Il fuori sincrono è proseguito nel 2007, quando il governo Prodi ha fatto marcia indietro sulle principali conquiste economiche e sociali del suo predecessore. L’esempio più illuminante è la controriforma delle pensioni: se la legge Maroni-Tremonti era pensata per salvare le finanze pubbliche dalla catastrofe demografica e alleggerire i giovani dal peso della previdenza, l’abolizione dello scalone è stato il costoso trionfo del conservatorismo e delle classi di età più garantite.
Il Paese ha poi assistito sbigottito all’approvazione di una Finanziaria 2007 fuori misura e fuori di testa, perché bastava meno della metà per mantenere i conti in ordine. I soldi che Prodi dice di voler destinare allo sviluppo vengono invece sprecati in mille rigagnoli che privilegiano la base elettorale del centrosinistra (sindacati e pubblica amministrazione), senza dare una spinta alla crescita (originata dall’impresa privata). I tesoretti vengono sperperati, la cattiva finanza è diventata la prassi e la cattiva azione di governo finisce con il deprimere l’economia. Il risultato di questo «fuori sincrono» tra la «non politica» di Prodi e la società italiana è che i consumi diminuiscono, a causa dell’inversione delle aspettative, e c’è un ridimensionamento progressivo della crescita economica prevista (e si allarga il divario con il resto d’Europa).
Il record di impopolarità del presidente del Consiglio e di tutto il suo esecutivo è la dimostrazione più evidente del distacco con i problemi del Paese, della distanza tra governanti e governati. Ma l’Italia è anche sconcertata dall’arroganza di un governo che pratica epurazioni politiche - emblematici sono i casi Petroni e Speciale, a cui Prodi deve ancora delle scuse formali - e non ha alcuna strategia - le esitazioni attorno alla vendita di Alitalia sono il sintomo più evidente della mancanza di una direzione. Arrabbiata e - sia consentito - «incazzata» la gente va in piazza perché non si riconosce più in chi la governa.
A sinistra c’è chi, come Beppe Grillo, ha sperato di strumentalizzare questo sentimento a fini populistici e per invocare una nuova stagione di epurazione per farsi nuovamente del male. È un fenomeno che avrà vita breve e sarà circoscritto ai malpancisti più gretti del centrosinistra. Perché l’attuale pessimo malumore degli italiani non ha niente a che vedere con questa furbesca «antipolitica». Il problema è che più Prodi è pervicace nel non mollare, più la gente si deprime. E tanto più l’economia regge nonostante Prodi, tanto più l’insofferenza nel Paese contro il «fuori sincrono» dell'attuale governo cresce. Basti guardare allo straordinario successo del Popolo delle Libertà e dei milioni di firme raccolte in poche ore per mandare a casa Prodi.

L’Italia è infelice non per un declino che non esiste, ma per l’impotenza democratica di fronte a governanti che non solo non hanno vinto le elezioni, ma neppure sono in grado di rispondere ai bisogni e alle speranze del Paese. Il declino si chiama Prodi.
Renato Brunetta

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