Ma chi finanzia i minareti?

Chi paga le moschee? Chi finanzia la costruzione dei luoghi di culto islamico? Ci sono troppe domande senza risposta. Ogni volta che si riapre il dibattito su una nuova moschea si perde di vista la questione economica. Le comunità rivendicano il diritto alla costruzione di luoghi in cui poter liberamente professare la propria religione, ma troppo spesso le stesse comunità glissano sull’aspetto finanziario.
Sappiamo, perché l’hanno dimostrato diverse inchieste della magistratura, che in passato dietro ai fondi per i luoghi di culto si nascondevano misteriosi finanziatori senza volto e in alcune circostanze anche gruppi estremisti con alle spalle un passato e a volte anche un presente terroristico. Il gip di Milano Guido Salvini ha scritto che enti caritatevoli nell'orbita dell'Islam «possono fungere da collettori, anche inconsapevolmente o quantomeno nella piena buona fede da parte di coloro che partecipano alle loro attività, di somme anche destinate a fini ben diversi, e divenire stazioni di transito e di sosta di denaro che finisce nelle mani di gruppi che esaltano e mettono in pratica l'ideologia jihadista». Due anni fa l’allarme sui finanziamenti misteriosi l’aveva lanciato il ministro dell’Interno Giuliano Amato: «Ci sono sospetti su come e da dove arrivano i soldi con i quali si costruiscono le moschee». La situazione non è cambiata. In alcuni casi, le moschee vengono finanziate ufficialmente da persone nullatenenti. Non è possibile.
Le comunità islamiche fanno troppo poco per la trasparenza.

Potrebbero, anzi dovrebbero, cominciare da qui: rendano noti nomi e cognomi e i redditi di chi usa i propri soldi per costruire o finanziare in vario modo i luoghi di culto. Sarebbe una forma di collaborazione autentica e fondamentale. In nome della libertà religiosa e della sicurezza dei cittadini, italiani e stranieri.

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