«Chi ha sbagliato deve pagare»

nostro inviato ad Arezzo
«Come lo chiami lo chiami: è stato un omicidio. Un omicidio a sangue freddo. Hanno sparato contro ragazzi disarmati uccidendo uno di noi. Adesso vediamo che versione ci danno le cosiddette istituzioni, cosa si inventano stavolta. Ma non finisce qui...». È sconvolto, Gianluca Tirone, capo degli ultrà biancocelesti noti con la sigla di «Irriducibili». Tocca a lui parlare a nome dei tifosi organizzati della Lazio e dei leader storici del gruppo arrestati per le note vicende legate ai presunti ricatti al presidente Claudio Lotito e alla scalata dell’ex bomber Giorgio Chinaglia. Lui, speaker radiofonico della Voce della Nord, sta rientrando da Milano. È in macchina. Fa fatica a organizzare un ragionamento lungo l’autostrada che lo porta sul «luogo del delitto». Un’ora dopo la morte del suo amico dà sfogo alla rabbia, poi al ricordo di Gabriele.
Cosa ha saputo?
«Hanno ucciso uno di noi, un ragazzo che amava la Lazio e che la seguiva quando poteva. È un fatto di una gravità senza precedenti. Stavolta si è davvero oltrepassato il limite, non finisce qui, non finisce qui...».
In che senso?
«Dobbiamo sapere come sono andati i fatti, vogliamo tutta la verità, in questo Paese accadono troppe cose strane intorno al calcio. Quando “sbagliano” uomini delle istituzioni c’è sempre una spiegazione logica, si trovano giustificazioni di ogni tipo. Quando siamo noi a sbagliare, apriti cielo: scatta la repressione, norme durissime, attacchi sui giornali. Trattati sempre e solo come criminali».
Vi sentite braccati, ingiustificatamente nel mirino?
«Ci sentiamo perseguitati. Se muore un poliziotto come Raciti si sospende un campionato, se muore ammazzato con un colpo di pistola un tifoso, si sospende una partita. Ci sono morti di serie A e di serie B, quando invece i morti sono tutti uguali. È uno schifo».
Ma si è trattato di una tragica fatalità...
«Non so come sono andati i fatti, vedo i risultati: un ragazzo ucciso dentro una macchina, quindi lontano dai luoghi dei tafferugli. Colpito a morte da un colpo di pistola esploso da un poliziotto in un’area di servizio autostradale. Mi chiedo, e vi chiedo: è normale intervenire in quel modo per sedare una rissa peraltro già finita? Un poliziotto dovrebbe avere la freddezza necessaria a fronteggiare determinate situazioni. Se ha sbagliato deve pagare, non c’è spiegazione, non c’è giustificazione che tenga».
Il timore è adesso che tutti gli ultras si coalizzino contro le forze dell’ordine, che la situazione possa sfuggire di mano.
«Non so cosa stia accadendo nel resto d’Italia, ho appena saputo dalla radio di scontri, di un tam tam tra le tifoserie. Sinceramente non so cosa dire, sono sconvolto dalla morte di uno di noi e non riesco a pensare ad altro».
Ha avuto contatti con qualcuno della società dopo l’arrivo della Lazio a Milano?
«Certamente.

Ho avvertito io la squadra negli spogliatoi di quello che era successo, ho chiesto loro di non giocare e mi hanno rassicurato che non sarebbero mai scesi in campo. Molti giocatori conoscevano personalmente Gabriele, specie De Silvestri».

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