Chi è rimasto in Abruzzo è con Silvio: "Ricostruzione bloccata dal Comune"

Una donna: "Chi era in tenda ora ha una casa. Queste proteste sono strumentali e mal dirette". Un consigliere regionale: "Restauri fermi perché il sindaco Cialente non ha ancora firmato i piani"

nostro inviato all’Aquila

«Io non sono aquilana, sono di Avezzano, ma vivo qui da 40 anni. E quindi mi sento aquilana e mi vergogno pure di esserlo». Siamo nella «new town» di Sant’Antonio, a un tiro di schioppo dal capoluogo ferito dal sisma dell’aprile 2009. Mentre i suoi concittadini a Roma protestano in piazza Venezia, la signora Tina spinge la nipote su un triciclo lungo il marciapiede che fiancheggia una delle palazzine del progetto «Case». La donna incarnerebbe perfettamente la «maggioranza silenziosa» dell’Aquila, quella che apprezza le cose fatte dai giorni del disastro a oggi. Solo che Tina non è mica silenziosa. «Manifestare? Per cosa? Per rifare il centro storico? Per come è ridotto ci vorranno anni», esclama, mentre la nipotina gioca con i riccioli e la guarda perplessa per quel tono leggermente alterato. «Io ho passato sei mesi in tenda, in piazza d’Armi, senza aver mai visto né il sindaco Cialente né l’ex presidente della Provincia Pezzopane, e due mesi in residence. Poi Berlusconi m’ha dato una casa», spiega stringendosi nelle spalle. «Ci stiamo stretti, siamo in tre in 50 metri quadri, c’è un solo bagno. Ma è una casa, non è una tenda, in questa situazione mi sembra abbastanza per non lamentarmi».

La donna ha le idee chiare. «La perfezione non c’è, ovvio. Ma tanto è stato fatto, e bene. La mia casa è una “E”, le più danneggiate. Forse riusciranno a rimetterla in piedi, forse dovranno abbatterla. La priorità era togliere la gente dalle tendopoli e dagli hotel, o no?». E il centro storico ferito? E il «movimento» delle carriole? Per lei sono solo proteste emotive. «O strumentali. E dirette male. Il centro storico è pieno di chiese e monumenti. Allora, almeno per le chiese, mi aspetterei che il Vaticano desse una mano al governo. E agli enti locali, che sono assenti. Cialente, il sindaco, fa il capopopolo ma si è scordato che fa parte della macchina dell’emergenza, che è vicecommissario. Lui e la Pezzopane dicevano che Bertolaso trascurava le amministrazioni locali, poi hanno preso il controllo e che hanno fatto? Solidarietà con se stessi: la Pezzopane bocciata alle urne per la Provincia è stata ripescata come assessore con una dozzina di deleghe dal sindaco. Mah».

L’accusa «politica» della signora Tina trova eco nelle parole di Luca Ricciuti, presidente pidiellino della commissione regionale Lavori pubblici, che pure in mattinata era a Roma con la delegazione regionale. «Quanto ai restauri, saremmo pronti a partire, se solo il sindaco si decidesse a firmare i piani di ricostruzione e la perimetrazione del centro storico. Altrimenti non si può nemmeno quantificare l’ammontare preciso delle risorse necessarie. E parlare di tassa di scopo, o tirare in ballo Tremonti, diventa inutile».
Nel centro ancora in rovina, nei primi bar che hanno riaperto i battenti in piazza Duomo, la manifestazione romana viene ridimensionata a «una battaglia per far slittare le tasse», ma di fronte ai lavori «solo di consolidamento» qualcuno ancora storce la bocca.

Ma è proprio nelle new town che la «protesta» fa fatica a trovare proseliti. C’è Linda, ancora a Sant’Antonio, che mentre stende la biancheria spiega, quasi imbarazzata, che «in fondo non va male, la casa è carina, ed è stato fatto tanto». Mentre Patrizia, impiegata statale, che vive con la madre nella «c.a.s.a.» da novembre, spiega l’emotività a geometria variabile. «Sulle tasse – attacca - penso che ad altre regioni è andata meglio, e capisco il malumore. Queste case non sono male, non possiamo lamentarci, anche se è ovvio che queste sistemazioni siano meno gradite a chi ha lasciato una casa nel centro storico, e questo spiega una certa localizzazione della protesta. Poi un conto è stare qui a Sant’Antonio, a due passi dal centro. Un conto è abitare in un insediamento a 20-30 chilometri».

A chiudere il cerchio, l’esistenzialismo di Antonio. Lui nel terremoto ha perso moglie e figlia: «Mi volevano spedire non so dove, la burocrazia si era persa i miei cari morti. Poi è andato tutto a posto, per quel che vale».

Ora, sul terrazzo della sua nuova casa, pantaloni rossi e torso nudo, Antonio spiega perché l’Aquila potrebbe non rialzarsi mai: «Il centro storico lo vedo male. Una roba così la rimetti in piedi a poco a poco. Ma se iniziano da una parte, quelli della parte opposta scenderanno in piazza. Finora c’è solo il consolidamento, quando partirà la ricostruzione, vedrete».

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