Chiara e Cristina Muti: nel nostro film una serenata alla luna

La moglie e la figlia del maestro sono regista e attrice di una pellicola che parla di poesia e clochard

Enrico Groppali

da Napoli

Chiara Muti ne è entusiasta. «Non credevo - dice - che la mamma, dopo due regie liriche, coltivasse ambizioni cinematografiche. Per questo, quando mi propose di interpretare Che fai tu, luna..., rimasi scettica. “C'è una sceneggiatura?”, le chiesi. “No”, fu la sua perentoria risposta. “Ma allora cosa vuoi farmi fare?”, la incalzai con la mia solita veemenza. “La parte di Iside, detta anche Diana, ossia dell'astro che diffonde la sua casta luce nei cieli”, fu l'incredibile risposta che mi diede».
«All'inizio - continua la figlia del maestro e della signora Mazzavillani - pensai che scherzasse. Ma dovetti ricredermi quando, dietro le mie continue insistenze, la mamma mi fece leggere due smilzi foglietti su cui aveva sommariamente tracciato, come se si trattasse della mappa di un tesoro, le linee portanti della sua nuova impresa: un film vero e proprio, articolato in ben sette episodi, che descrive la faticosa marcia della Bianca Dama cantata dai poeti dal cielo verso la terra. Dove farà una scoperta a dir poco strabiliante».
Quale?
«La luna, una volta discesa dall'empireo, imparerà che l'uomo è schiavo del dolore, farà conoscenza coi vivi ed evocherà dall'Averno le ombre dei morti. Penetrerà negli abissi della terra ravennate, si sporcherà di fuliggine, dialogherà coi barboni e coi diseredati...»
Che, nell'ottica del film, chi sarebbero?
Risponde Cristina, subentrata d'impeto alla figlia con la sua dolce parlata romagnola: «Ma le voci della luna calate per magia, per sortilegio, per incantesimo sul nostro vecchio pianeta, perbacco! Tutto questo, nel mio film, è chiarissimo. Tanto è vero che non ho nessun timore che questo aspetto basilare della storia non venga colto dal pubblico».
Chi vedrà per primo Che fai tu, luna...?
«Lo spettatore napoletano, questa sera, all’interno della rassegna Atlante della mente in corso nella capitale Partenopea. Mi auguro che la gente affolli fino all'inverosimile il cinema Filangeri».
E dopo?
«Il giorno successivo, presenterò il film a Siena per fare poi il giro dei festival. In molti l'hanno già individuato come un'opera talmente eccentrica rispetto alla produzione corrente da suscitare curiosità, curiosità e ancora curiosità».
Com'è nato il progetto?
«Da un'idea di Marco Muller che interessò, oltre a me, alcuni dei gruppi teatrali più significativi della nostra Romagna solatìa. Ci chiese perché non avessimo mai pensato al cinema. Parlò coi fondatori di Fanny e Alexander, ebbe più di un colloquio con Marco Martinelli...».
Che per ora non hanno seguito le sue direttive, o sbaglio?
«Io, che avevo già realizzato in digitale il Trovatore, non ci ho pensato due volte e, dopo aver corrotto uno sponsor prezioso come mio marito Riccardo, mi sono gettata anima e corpo in quella che a tutti pareva una follia».
Come mai ha scelto a comun denominatore la luna?
«Nell'estate del 2001 rimasi folgorata dal suo tramonto a Pantelleria. Su una spiaggia nera che mi fece venir in mente il secondo atto del Ballo in Maschera con gli splendidi versi che Verdi mette in bocca ad Amelia».
Quali versi?
Risponde Chiara: «Ecco l'orrido campo ove s'accoppia al delitto la morte». Ma Cristina incalza: «Che io tuttavia interpretai in maniera più gioiosa che funerea. Sa che nel film la luna s'insinua addirittura in cinquecento fantocci di legno?».
Fantocci... ho capito bene?
«I burattini che mio padre, medico e a tempo perso poeta dialettale, faceva ballare e recitare sulle piazze del circondario di Ravenna ogni domenica.

Ora, al suo posto, nei miei fotogrammi c'è la luna. Che consola gli uomini della pena di vivere con le parole di Leopardi dette da Chiara mentre i clochard, in bicicletta, cantano le antiche nenie della nostra Italia. Quella che deve vivere, e non sparire per sempre».

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