La chiave della sfida

Milano Altro che calcio dell’amore. Vince il calcio della guerriglia. Nemici! E nemici sono stati. I killer (in senso positivamente calcistico) erano tutti dell’Inter. Mourinho non te le manda mai a dire inutilmente. Alla vigilia, aveva un bel carezzarlo Galliani: «Macchè nemici, solo avversari». Poi quando, in tribuna, si è preso un po’ di insulti e ha visto Moratti mandare al diavolo l’arbitro, ha capito che gli altri volevano la guerra. Per davvero. E guerriglia è stata. Derby da cardiopalmo solo per chi aveva a cuore il bon ton. Il resto una melassa di poco calcio, tanti calcetti e parole in libertà. In quel libero dire, senza badare al contenuto filosofico, tutti campioni del mondo: Sneijder ha fatto la parte del leoncino, pronto a sbranarti. Bella tempra, ma lo sanno tutti che mandare ripetutamente l’arbitro a quel paese non serve. Ne esci quasi sempre col rosso sbattuto in faccia. E così è stato.
Da avversari a nemici, il passo è breve, tenendo Mou come condottiero. Magari tatticamente sguarnito, un po’ scarso nell’arte vera del pallone, Mou è il fenomeno che fa la differenza quando c’è da buttarla in rissa, ressa e metter gli altri in soggezione. Ieri ce l’ha fatta in bello stile. Certo, ci voleva Milito per tranquillizzare l’Inter. Abate gli ha regalato l’assist e il Principe ha fatto la differenza. Nemici? Bene, ecco la mia colt, ha detto il Gringo. Dopo 10 minuti ha tirato il colpo. E l’Inter lo ha seguito. La differenza è stata tutta qui. La gente di Mourinho è entrata in campo con la voglia di far male: comunque e dovunque. Il Milan ha preso troppo alla lettera la lezione del Gandhi suo: amore, sorrisi e contemplazione. Beckham e Pirlo, nel primo tempo, potevano scriverci un libro. E quando l’arbitro li ha fatti arrabbiare è stato peggio. In panca c’era Figo al posto di Oriali, un altro che conosce l’arte rissaiola. Moratti, nell’intervallo, è andato nello spogliatoio: forse fuori giri per le decisioni arbitrali.
Doveva essere calcio. Lo è stato molto poco. Però l’Inter ci ha dimostrato perché è in testa al campionato. Gli avversari, sorry “nemici”, non passano mai un certo livello (forse il Milan aveva illuso), e loro non dimenticano mai i coltelli. Hanno i killer in attacco e si vede. Milito tira i colpi, Pandev ci prova. Ieri Dida era in buona vena. Buon per il Milan. Dopo 25 minuti sono rimasti in dieci: niente di male. Sembravano in undici. E il Milan, che era in undici, ha dovuto attendere il secondo tempo ed inserire Seedorf per dire: ci siamo. Sarà un caso se, nei primi 45 minuti, l’Inter sembrava in soprannumero a centrocampo, pur avendo perso Sneijder? No, il pallone è facile mentitore, ma non fino a questo punto. Ieri il derby ci ha riproposto la realtà del calcio di una vita: bastano tre argentini (con l’eccezione di un brasiliano in porta) per mandare il tilt la bellezza di un calcio alla brasiliana. Poi i brasiliani vincono più spesso e gli argentini piangono di più. Ma gli argentini interpretano alla lettera la parola “nemico”, i brasiliani preferiscono mangiarsi gli avversari. Alla fine del primo tempo Ronaldinho e Maicon si sono scambiati la maglia: un sorriso e un abbraccio. Gli altri niente sorrisi e un “ci vediamo dopo”. Questo è derby, così va giocato. Qualcuno l’ha pure detto ai milanisti che, nella ripresa, hanno abbandonato amore e contemplazione. Borriello si è scatenato, Ronaldinho ci ha provato.

Pandev, macedone tutto cattiveria, li ha lasciati divertire un po’, poi ha preso Dida a pallate. Lui si è preso il gol, Mourinho il merito di non averlo cambiato un attimo prima. Dimostrando di essere il campione del mondo degli allenatori fortunati. Più fortunato che bravo, ma nel calcio questo conta poco.

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