Chicchi d’uva come oro Per il vino lombardo un’annata eccezionale

Serpeggia fra i filari, si intreccia alle pergole e danza sulle spalliere e fra i chicchi: è l’ottimismo ed è l’ingrediente più prezioso della vendemmia 2009. La stagione della crisi è alle spalle o meglio, l’ordine di scuderia fra i vigneti è quello di pensarla così e di guardare ovviamente al bicchiere (ben più che) mezzo pieno. Dalla Franciacorta dove la vendemmia è iniziata, con due settimane di anticipo, già ai primi di agosto, alla Valtellina dove si stanno scaldando i motori, passando per l’Oltrepò, il mantovano e San Colombano, il coro inneggia all’unisono ad un’annata ottima ed abbondante: «Una vendemmia in giacca e cravatta», ha detto Luca Daniel Ferrazzi, assessore regionale all’agricoltura. Zuccherino al punto giusto il chicco, anche gli antociani hanno fatto il loro corso, meditando e trasferendo dalle bucce al succo le loro preziose nuance. Scientificamente si dice che gli indici sanitari sono tutti a posto. Col cuore, però, si spera che, date le ottime prerogative, la magia prosegua anche durante la fermentazione in cantina. In Franciacorta gli ettari vitati sono circa 2800: le stime parlano di 213mila quintali di vino per oltre 9,6 milioni di bollicine. Pinot nero e bianco e Chardonnay, gli uvaggi del Franciacorta Docg sono già tutti in cantina e sono stati i primi ad essere raccolti: «Ora proseguiamo con il Curtefranca Doc e con i rossi, ma un annata così non si vedeva da anni», spiega da Erbusco Maurizio Zanella, presidente del Consorzio di tutela Franciacorta. Nemmeno qui, dove si fa concorrenza allo Champagne, la crisi ha risparmiato i filari: a fronte di una crescita del 16 %, da un paio di anni ci si assesta su un aumento «fisiologico» del 3-4%. Anche qui si corre ai ripari per esempio chiedendo, come previsto dal disciplinare del Docg, una riduzione di resa del 7-8%: in pratica su un ettaro si raccolgono meno grappoli, curandone la qualità. «Abbiamo anche chiesto - aggiunge Zanella - alla Regione il blocco di nuovi impianti per tre anni, tempo in cui riteniamo che le vendite torneranno a salire». Nell’Oltrepò oltre alle viti si coltiva l’entusiasmo: «Dobbiamo imparare a camminare da soli - spiega dal Consorzio di tutela il presidente Paolo Massone -: lavoriamo in collina un prodotto che poi si posizione nella grande distribuzione come se fosse di pianura, eppure abbiamo costi altissimi di manodopera». I numeri dell’Oltrepò raccontano di 15mila ettari vitati, 3mila solo di Pinot nero. A preoccupare sono piuttosto i 3900 ettari di croatina con cui si fa il Bonarda: «Abbiamo rese del 15-20% inferiori al solito, da ogni ettaro ricaviamo 105 quintali invece che 125». A controbilanciare qualche numero nell’Oltrepò pensano però nuove iniziative imprenditoriali come quella della Cantine sociali di Broni e Casteggio che si sono fuse in «Terre Oltrepò» l’anno scorso: «Questa sarà la prima vera vendemmia - spiega Davide Lanati, della Confederazione Italiana agricoltori -: puntiamo a 300 quintali di uva».

Profuma di commerciale, ma anche di rivalsa - rispetto all’ultima pazzia dell’Unione europea che proponeva di derubricare la produzione del rosé mischiando bianco e rosso, abolendo quindi la decantazione delle bucce - l’operazione che porterà alla nascita di un nuovo vino, il Cruasè, un rosée per ridare slancio a un prodotto spesso vituperato: per ora sarà un marchio collettivo, si spera di ottenere in 5 anni il Docg. E di brindare alla fine crisi anche grazie a lui.

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