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Christian, uscito dal coma dopo 2 anni Adesso recita il suo dramma a teatro L’uomo di Bologna ha 30 anni e fa l’università. Ha già superato due esami La madre: «I medici non ci davano speranza, che bello adesso vederlo sul palco»

E se fosse stata lei, la mamma di Eluana?
«Mah, me lo sono chiesta anch’io tante volte. Che le devo rispondere? Così, d’impeto, le direi che io sono contraria a questa eutanasia. Mi ripugna, mi fa accapponare la pelle. Io lo so, perché l’ho vissuto sulla mia carne, che questi malati dati per persi non sono persone insensibili. Sicché, far morire questa ragazza di fame e di sete... Però non mi sento di giudicare. Anche se il padre di Eluana mi sembra più un avvocato che un padre. Sempre così freddo, razionale...».
La signora Morena è la madre di Cristian Sacchetti, trent’anni a luglio. Quelli come Cristian, una volta li buttavano. Tra coma e stato vegetativo, tra l’ospedale Maggiore e il Bellaria, a Bologna, si è fatto due anni. Poi un bel giorno si è svegliato, e per farla breve ecco cos’è successo: che al primo esame (Conservazione dei Bene culturali, si chiama il corso di laurea) ha preso 26, mentre in Storia del teatro greco e romano ha rimediato un 24. Insomma, per un cerebroleso, per uno al quale non davano un’oncia di speranza non è poi così male, no? Il 26 dicembre dell’anno 2000, a 22 anni, Cristian venne investito a Bologna mentre attraversava una strada vicino casa. «I medici - racconta sua madre - non mi davano alcuna speranza. Un anno così, senza una scintilla, un barlume di attività cerebrale. Ma io non mi sono mai data per vinta. Gli ho costruito intorno una rete di vita normale. Lo portavo dai suoi amici, gli parlavo, gli facevo vedere giornali e illustrazioni delle cose che lo avevano appassionato. E il sabato mattina lo portavo agli allenamenti della Fortitudo, la squadra di basket di cui era tifoso».
La «Casa dei Risvegli» intitolata a Luca De Nigris, bella e funzionale struttura che al «Bellaria» ospita ragazzi che sperimentano il limbo del coma, non era ancora sorta. Ma i genitori di Luca, Fulvio De Nigris e Maria Vaccari, si stavano già prodigando perché quella struttura che è diventata un faro nella notte in cui piombano tanti giovani diventasse realtà. Perché ci sono dei fatti, quando toccano a te, che ti ribaltano la vita. Molti se ne fanno travolgere, e restano increduli, inebetiti, e poi maturano una rabbia furibonda, fredda. Si direbbe che Giuseppe Englaro, il padre di Eluana, è di questi. Ci sono poi quelli che si rigirano tra le mani il mistero di questa tragedia, e si domandano se non ci sia un senso, una strada che aspetta di essere svelata. I genitori di Luca De Nigris, al quale ora è intitolata la «Casa dei risvegli», a San Lazzaro, sono di questi. Gente sorretta dalla convinzione che ne val sempre la pena. Come la signora Morena. «Fu nel febbraio del 2002 che cominciai a vedere dei segnali che a me parevano inequivocabili. Segni impercettibili, certo. Alla fine del 2002 si dovettero arrendere anche i medici. A basket, quando sentiva il rumore del pallone che rimbalzava, i suoi occhi si animavano. E quando lo cambiavo, infilandogli una maglia o una felpa, vedevo che si aiutava col braccio sinistro, come se volesse facilitarmi il compito». Mesi così, a spiare dei segni, a incalzare Cristian perché si allontanasse definitivamente dal limbo. «Io lo sapevo. Avevo una voce dentro di me che mi diceva: si sveglierà, ce la farà -ricorda commuovendosi mamma Morena -. Perderlo per me era inconcepibile. Quando lo hanno operato, nei momenti più critici mi sono affidata alla Madonna di San Luca. E a tutti quelli che stavano intorno a Cristian chiedevo solo una cosa: che pregassero. Pensavo che tutte queste voci non potevano non essere ascoltate».
Oggi Cristian bada perfettamente a se stesso e segue un corso sull’uso dei computer. L’uso della parola, la memoria hanno bisogno ancora di essere esercitati, ma i progressi sono stati enormi. Giovedì prossimo, se vi va, potete andare a vederlo al Teatro dell’Osservanza di Imola.

Lui e altri 8 ragazzi che hanno attraversato il coma e ne sono usciti, insieme con il regista Antonio Viganò, hanno messo in scena uno spettacolo che si chiama, non per caso, «Ritorno».

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