«Christine Cristina» La Sandrelli: onore alle donne forti, non alle femministe

INTELLETTUALE La pellicola racconta la vita di una vedova che nel Trecento mantiene la famiglia scrivendo poesie

RomaRipete «passaparola» come un mantra, perché sa che il suo «filmino», come lo chiama lei, uscendo in venti sale appena rischia di venir trascurato. Eppure, ai David di Donatello sembra favorita. Stefania Sandrelli esordisce alla regia con Christine Cristina (da venerdì nelle sale) ed è subito polemica con la 01 Distribution (leggi Rai Cinema), che non intende rischiare con questa ballata della vedova, ispirata alla vita di Cristina da Pizzano, poetessa italiana vissuta nel Trecento alla corte di Francia.
Accolto con moderato entusiasmo al Festival Internazionale del Film di Roma, il film d’esordio della star viareggina è ben interpretato dalla figlia Amanda Sandrelli, qui una Cristina sagace e femminile; da Alessio Boni, che fa un tormentato mèntore di lei, e da Alessandro Haber, starring un avvinazzato poeta, che s’arrende alla bravura compositiva di Cristina. Girato con un budget ridotto, «sui set riciclati di Cinecittà» (così Sandrelli) e con il contributo del ministero per i Beni e le Attività Culturali, Christine Cristina è innanzitutto un omaggio alla forza interiore delle donne. «Parlo della forza e della grazia, che le donne ancora hanno, sebbene in Italia si stia tornando indietro, quanto a rappresentazione del femminile... Possibile che una vedova, sola e con due figli da mantenere, soltanto attraverso le opere di scrittura, ce l’abbia potuta fare, nel 1300? È quanto mi chiedo spesso, per poi rispondermi che, se ce l'ha fatta Cristina da Pizzano, ce la possono fare anche le donne d’oggi», commenta Stefania, indignata dalle tante «lei», che ora si riducono a «merce di scambio e basta».
Inizialmente respinta da molti produttori, la neoregista ha poi trovato la chiave giusta per girare il suo breve film (altro pregio della pellicola è la durata), la cui sceneggiatura è firmata, oltre che da lei, da Giacomo Scarpelli (figlio dell’appena scomparso Furio) e da Marco Tiberi. «Mi suggeriva che, girando, dovevo far sentire la fragranza del pane condiviso, scegliendo l’inquadratura giusta e l’odore della mela appena tagliata», rievoca la Sandrelli, parlando di Scarpelli senior, qui supervisore di sceneggiatura. «Questo film mi sembra molto attuale, perché mostra un modo di essere donne, che nulla ha a che fare con un certo femminismo, capace solo di adattarsi al modo di pensare maschile», incentiva l’artista, coadiuvata dal compagno Giovanni Soldati (figlio dello scrittore) dietro la macchina da presa. «Ma noi non siamo mica i fratelli Taviani!», scherza lei, cercando di smorzare l’intemerata di Alessandro Haber, piccato dalla ridotta distribuzione del film, tuttavia giustificata da Filippo Roviglioni della 01 con la non commercialità della pellicola («Sbagliato mandare il film nei circuiti commerciali»).

In un primo tempo, tra l’altro, al posto di Haber avrebbe dovuto figurare Gérard Depardieu, che probabilmente ha richiesto un cachet alto. Però un tocco d’internazionalità, comunque, arriva da Come again, gradevole canzone di Sting.

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