Politica

«Ci sono indizi di possibili attentati in Italia»

Anna Maria Greco

da Roma

Sì è vero: sull’Italia «incombe la possibilità di un attentato», riconosce Silvio Berlusconi. Ma il premier aggiunge: «Non dobbiamo farci prendere dall’angoscia. Perché siamo nella massima allerta, stiamo già facendo di tutto per garantire la sicurezza».
Il Cavaliere parla al Consiglio nazionale di Forza Italia e lancia un altro netto messaggio: «Guai se si arrivasse al cosiddetto scontro di civiltà, sarebbe un disastro. Noi dobbiamo collaborare con l’Islam moderato. Con quei moderati musulmani che indicano nei terroristi il cancro dell’Islam, un qualcosa che è al di fuori della loro cultura e religione». Una posizione in linea con il pensiero espresso dopo l’attentato di Sharm El Sheikh dal capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, che si distingue nettamente da quella di leghisti come il ministro Roberto Calderoli, ma anche da quella del presidente del Senato Marcello Pera. Berlusconi, come poi il presidente della Camera Pier Ferdinando Casini e il ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu, insiste sulla necessità del dialogo e nega che l’attacco del terrorismo internazionale sia solo contro l’Occidente. La «follia omicida», spiega, mira a colpire più che Usa, Regno Unito o Spagna, «i Paesi musulmani moderati» per impedire che «collaborino con la nostra civiltà e distoglierli dall’apertura alla democrazia». Questa, riferisce il premier, è l’interpretazione delle 8 grandi potenze che erano riunite in Scozia proprio mentre scoppiavano le bombe a Londra. Per il capo del governo è anche «una stupidaggine assoluta» pensare che gli attentati siano dovuti alla presenza degli occidentali in Irak. «Hanno colpito Paesi - sottolinea Berlusconi- che non sono assolutamente presenti in Irak. E se c’è una cosa di cui sono convinto è proprio del nostro dovere di essere lì: ad aiutare un Paese strategico in quell’area regionale e in quell’area religiosa culturale e politica, per farlo diventare democratico».
È un discorso che trova eco nelle parole di Casini. «Guai a finire nella rete del terrorismo - dice il numero uno di Montecitorio, alla cerimonia del Ventaglio - facendo il gioco dei terroristi che vogliono lo scontro di civiltà». Anche per lui il terrorismo «non è la risposta alla guerra in Irak», ma una «malattia della società contemporanea». E per combatterlo bisogna lavorare «incessantemente» per il dialogo interreligioso, «che non significa cedimento culturale alle tesi degli altri ma dibattito tra chi sostiene tesi diverse». «Nessuna guerra - dice Casini, citando Papa Wojtyla - si può fare in nome di Dio. Sogno un Islam europeo che manifesti con noi contro il terrorismo islamico, per la vita, per l’uomo».
Anche il ministro dell’Interno Pisanu, parlando al Senato per la conversione in legge del decreto antiterrorismo, insiste che non c’è altra via che il dialogo con l’Islam moderato, sia nei Paesi stranieri sia nelle comunità in Italia. Il titolare del Viminale ribadisce il suo no allo scontro di civiltà, perché «non possiamo confondere la minaccia del terrorismo islamico con la religione, la cultura e la civiltà dell’Islam».
Pisanu conferma che «circostanze e indizi convergenti» fanno considerare possibile un attentato in Italia. Per questo, l’allarme è «intenso è prolungato». Ma il ministro non chiede poteri eccezionali e ricorda che in Italia «non siamo all’anno 0» nella lotta al terrorismo. Però, sottolinea Pisanu, «non può esserci baratto tra sicurezza e libertà». Per prevenire attentati il ministro spiega che ci si muove su tre direttrici: «difesa degli obiettivi più esposti; controllo degli ambienti dove può prendere consistenza la minaccia terroristica; monitoraggio stretto dei cittadini extracomunitari già interessati da inchieste giudiziarie e, naturalmente, intensificazione delle altre indagini». Resta aperto il problema della riforma della nostra intelligence, da risolvere con una legge e quello della Superprocura che il governo non ha inserito nel «pacchetto sicurezza» perché ha bisogno di altre riflessioni.
Per il ministro la rete mondiale del terrore non è un’organizzazione ordinata gerarchicamente, ma un insieme di «maglie autonome e non sempre collegate». Anche attraverso internet, forse, si creano «sintonie ideologiche e qualche concertazione operativa tra gruppi diversi e lontani». Pisanu aggiunge che finora non c’è certezza sul legame diretto tra gli attentati di Londra e quello di Sharm El Sheikh, che non era «inatteso». Ma il «progetto Jihadista» vuole colpire sia l’«alleanza crociata» occidentale che i Paesi musulmani «apostati».
Applaudito anche da gran parte dell’opposizione e tra mugugni leghisti, Pisanu afferma che il decreto-legge «è aperto ai contributi, ai miglioramenti ed alle integrazioni che scaturiranno dal dibattito parlamentare», anche perché il momento «esige orientamenti comuni in un clima di larga concordia politico-istituzionale».
Contro la minaccia terroristica per Pisanu ci vuole collaborazione interna ed esterna, soprattutto a livello europeo. Negli Stati Ue «occorrono iniziative di contenimento degli effetti dannosi di un’immigrazione islamica a tutt’oggi più subita che governata, e perciò foriera di emarginazione sociale, isolamento culturale, esasperazione e radicalismo politico». In Italia, l’obiettivo è favorire l’integrazione possibile della comunità islamica «senza pretenderne l’assimilazione», perché anche così si fa «prevenzione a medio termine dell’estremismo più cruento di seconda e terza generazione».

E in quest’ottica sarà presto attiva la Consulta per l’Islam Italiano.

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