Politica

Ciampi: il Guardasigilli non può negare la grazia

Fa discutere l’intervento del presidente sul caso Bompressi dopo sette mesi: la risposta della Consulta arriverà alla fine del suo mandato

da Milano
Il ministro della Giustizia non può negare la grazia e non può andare contro la decisione del presidente della Repubblica. È un conflitto quasi bellico quello dichiarato da Carlo Azeglio Ciampi contro il guardasigilli Roberto Castelli. Un conflitto senza precedenti che provoca lacerazioni e reazioni contrastanti, con la Lega e An contrarie alla mossa del Presidente. «Non condivido il ricorso di Ciampi», afferma il ministro delle Riforme Roberto Calderoli. Maurizio Gasparri di An parla addirittura di «accanimento» di Ciampi e aggiunge: «Ci sono altre priorità». Motivo della contesa, il braccio di ferro a proposito del provvedimento di clemenza nei confronti di Ovidio Bompressi e, indirettamente, di Adriano Sofri. L’avvocatura dello Stato su input del Quirinale ha scritto alla Corte costituzionale un ricorso dai contenuti fin troppo chiari. «Il ministro è sicuramente titolare di poteri istruttori, ma questi non possono che concludersi al più con una valutazione», nota l’avvocato Ignazio Francesco Caramazza, contestando invece la linea assunta da Castelli che il 24 novembre scorso si era messo di traverso, rifiutandosi di trasmettere il decreto di grazia che Ciampi avrebbe dovuto emanare. Castelli non può avere un potere di veto.
L’interpretazione dell’articolo 87 della Costituzione data dal Guardasigilli viene dunque respinta: Ciampi vuole decidere. Da solo. Per questo, il capo dello Stato è passato all’offensiva, anche se da novembre sono passati ormai sette mesi e l’inquilino del Quirinale è entrato nell’ultimo anno del suo mandato. Insomma, considerando che la Corte costituzionale farà le sue valutazioni non prima dell’autunno, Ciampi ha deciso di dare battaglia in extremis, trovando nel calendario un naturale alleato. Se, per un’ipotesi puramente teorica, la Consulta dovesse dare ragione al Guardasigilli e stabilire che il potere di grazia è duale, la sconfitta si allungherebbe sul Quirinale per poche settimane. Ma questo è solo un possibile scenario.
Nel testo, stilato da Ignazio Francesco Caramazza, Ciampi rivendica «l’integrità delle proprie esclusive attribuzioni costituzionali nell’esercizio del potere di concessione della grazia». Certo, anche il decreto di grazia dev’essere controfirmato dal ministro, «ma - si legge nel ricorso - la dottrina è unanime nel riconoscere che la controfirma ministeriale assume un significato radicalmente diverso a seconda del tipo di atto presidenziale cui viene apposta». Un conto, par di capire, sono gli atti «formalmente presidenziali ma sostanzialmente governativi», come gli atti normativi del Governo, per i quali il Capo dello Stato si limita «a un mero controllo di legittimità»; altra cosa sono invece gli atti «formalmente e sostanzialmente presidenziali», come la nomina dei giudici costituzionali e dei senatori a vita, l’invio di messaggi alle Camere e la richiesta di riesame di una legge. In questi casi, «la controfirma ministeriale si presenta come un atto dovuto, in quanto ha una funzione, per così dire, notarile, di mera attestazione di provenienza dell’atto da parte del capo dello Stato, oltre che di controllo della sua regolarità formale». Anche la grazia «è un potere sostanzialmente presidenziale», quindi la controfirma di Castelli è per Ciampi «un atto dovuto». Castelli, secondo questa interpretazione, non può rifiutarsi di firmare il decreto se questa è la volontà del capo dello Stato. «Infatti - prosegue il ricorso - se si riconoscesse che la proposta del ministro è essenziale per avviare una procedura di grazia, si attribuirebbe al ministro stesso un potere di interdizione, e quindi di veto assoluto sull’esercizio del potere presidenziale consacrato dall’articolo 87 della Costituzione. Si avrebbe inoltre una indebita ingerenza nell’esecuzione della pena, che nell’ordinamento vigente non è più consentita al potere esecutivo». Del resto, è l’orgogliosa conclusione del ricorso, «il presidente della Repubblica, per il suo ruolo istituzionale di garante super partes della Costituzione, è l’unico organo che offra la garanzia di un esercizio imparziale del potere di grazia», esulando questa «del tutto da valutazioni di natura politica» e non essendo «riconducibile all’indirizzo politico della maggioranza di Governo».
Dopo tre anni di tira e molla, Ciampi, ormai nella fase finale del suo impegno al Quirinale, decide di giocare fino in fondo la partita affidandosi alla Corte costituzionale. Prende tempo Castelli: «Comprendetemi - dice ai giornalisti -, parlerò domenica a Pontida. Voglio meditare tutte le parole. Prima penso, poi parlerò».
A novembre, il ministro aveva chiuso la lettera di rifiuto a Ciampi con queste parole: «Sono profondamente dispiaciuto di non poter aderire a questa sua richiesta che, per me, non è condivisibile né sotto il profilo costituzionale né nel merito». Per Giuliano Pisapia, capogruppo di Rifondazione alla Commissione giustizia della Camera, «la decisione di Ciampi è ineccepibile». «Non condivido il ricorso di Ciampi - nota invece il ministro per le Riforme Roberto Calderoli -, se uno vuole emanare la grazia se ne assume la responsabilità, senza che se ne debba far carico il Guardasigilli».

Insomma, per Calderoli sarebbe bene cambiare la Costituzione.

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