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«Il ciclismo faccia piazza pulita Ma non accusi soltanto Basso»

Squinzi: «Io me ne sono andato, ma in questo sport non cambia mai nulla»

Si sta preparando alla prima Gran Fondo Gianni Bugno, in programma a Monza il prossimo 1° maggio. Appena può, quando gli impegni di lavoro glielo consentono, inforca la sua bicicletta e va. Giorgio Squinzi, presidente di Federchimica, è innamorato di ciclismo e per dieci anni con la sua squadra è stato un punto di riferimento per tutto il movimento, tanto da diventare la Ferrari delle due ruote con oltre settecento vittorie, 9 coppe del mondo e quattro mondiali. Il signor Mapei - colosso di livello mondiale, specializzato in prodotti chimici per l’edilizia (oltre 1,4 miliardi di euro, operante in 23 Paesi e con 46 stabilimenti nel mondo) - fu costretto a lasciare a fine 2002, in seguito alla positività di un suo corridore: Stefano Garzelli, cacciato dal Giro quando era in maglia rosa. «Una ferita mai rimarginata - dice -. Noi credevamo e crediamo in uno sport molto diverso, ma la situazione è sotto gli occhi di tutti: non è cambiato nulla e fanno finta che qualcosa stia cambiando e cambierà».
Presidente, cosa intende dire?
«Ullrich ha smesso di correre dopo essere stato inchiodato dalla prova del Dna. Le nove sacche di sangue rinvenute nel laboratorio di Eufemiano Fuentes, lo stratega dell’emo-doping, il dracula dell’autoemotrasfusione, sono state attribuite al corridore tedesco e per questo fermato. Basso è nell’occhio del ciclone: se ha sbagliato, pagherà. Il punto è che non tutti pagheranno e che molti stanno correndo impuniti. E continueranno a correre».
Non crede di avere una visione un po’ troppo pessimistica?
«Guardi, penso di essere stato il primo a denunciare il doping ematico. Quando nel ’96 dissi all’allora numero uno del ciclismo mondiale Hein Verbruggen che l’emo-doping avrebbe minato in maniera irreversibile la credibilità di questo sport, mi rispose che queste erano solo scoop di certa stampa scandalistica. Oggi gridano allo scandalo solo perché hanno interesse a mettere in crisi i grandi organizzatori e usano la lotta al doping per esercitare potere e controllo. Secondo lei è cambiato qualcosa? Date una scorsa all’ordine d’arrivo della Freccia Vallone: c’è da rabbrividire. Non se ne salva uno, o se ne salvano pochi. Rebellin, il vincitore, qualche anno fa ha avuto a che fare con vicende che sotto l’aspetto penalistico sono state risolte solo per dei vizi di forma (l’inchiesta di Padova, fu archiviata perché le intercettazioni ambientali furono considerate inammissibili, ndr), ma mai nessuno, dico nessuno, dell’Uci o di qualche federazione si è preso la briga di aprire un’inchiesta sportiva, come invece è stato fatto per l’affaire “Puerto”. Oggi facciamo passare Rebellin per il nuovo che avanza, ma è solo il vecchio che resta».
Non crede che questo sia catastrofismo?
«Questo è realismo e le dico di più: se il ciclismo farà davvero piazza pulita, se passerà al setaccio tutti, come hanno fatto con Ullrich e stanno facendo con Basso, la Mapei è pronta a tornare nel ciclismo. Aspetto solo un segnale forte e chiaro per poter tornare, ma temo che questo segnale non ci sarà. Ed è un peccato, perché il ciclismo è uno sport eccezionale, e ve lo dice un imprenditore, ha potenzialità di marketing enormi, ancora inesplorate e inespresse. E allora in bicicletta ci vado io. Come si dice in questi casi? Ricomincio da me.

Forse è meglio».

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