Ciclismo, Valverde re di Liegi e degli scandali

Lo spagnolo, mai sfiorato da nessuna inchiesta nonostante fosse coinvolto nel caso Fuentes, vince la classica davanti a Rebellin. E' invischiato come Basso, ma lui può correre

Ciclismo, Valverde re 
di Liegi e degli scandali

Scandalo a Liegi. La corsa più bella, più gloriosa, più aristocratica del mondo fa sedere a capotavola il corridore più discusso e più discutibile del mondo: Alejandro Valverde, spagnolo, professione impunito.

Poi dice che il ciclismo fatica a ripartire con una faccia nuova: ma va? Come si può pensare di ripartire ripuliti e rispettabili, quando gli effluvi della storica «Operation Puerto», la madre di tutte le inchieste, ancora aleggiano sul gruppo, senza che nessun governo e nessun dirigente avverta anche solo un minimo di disagio. Da dove dovrebbe nascere questo disagio? Facciano un po' loro. Vedano se è normale e accettabile continuare a subire una storia grottesca e vergognosa come questa, che già troppe volte s'è raccontata, ma che proprio adesso, di fronte al trionfo nella Liegi-Bastogne-Liegi, nessun uomo onesto può improvvisamente dimenticare. Solo un rapidissimo riassunto per rinfrescare le memorie confuse da troppi anni di scandali. Allora: tra le carte della famosa inchiesta spagnola, meglio ancora tra gli affezionati clienti di quel pittoresco ginecologo chiamato Eufemiano Fuentes, risulta più volte il nome in codice «Valv-Piti». Chi è il personaggio misterioso? Ancora oggi nessuno lo sa, perché la giustizia e la federazione spagnola si sono sempre guardate bene dall'approfondire, giustificando la dormita con l'assenza - all'epoca - di una legge antidoping. Tutti quanti - o almeno quelli che non hanno l'anello al naso - sanno però questo: «Valv» somiglia maledettamente alla prima metà del cognome Valverde (o sarà l'inizio di Balmamion?). Quanto al «Piti», che segue nella sigla in codice, è casualmente lo stesso nomignolo del cane di Valverde. Sempre casualmente, risulta che i clienti di Fuentes usassero il nome dei rispettivi cani per mascherarsi (il nostro Basso, che si sta grattando da due anni perché la giustizia italiana non ha dormito, è caduto sul famoso «Birillo»). Per concludere le casualità, c'è pure la memoria limpida di quando Fuentes era il medico della squadra di Valverde. Per anni.

Allora? Premesso che personalmente, da ora in poi, chiamerò Valverde con l'abbreviazione Valv - per comodità, mica per malignità -, c'è da rispondere a una domanda: può uno sport, disperatamente impegnato a rimettersi in piedi, permettere e permettersi di lasciare irrisolti tutti questi dubbi? Uno sport normale, naturalmente, no. Il ciclismo, sì. Da quasi due anni, ormai, la Federazione internazionale (Uci) prova a sollecitare la Spagna perché svolga una profonda indagine, come hanno fatto italiani e tedeschi. Ma inutilmente. Per la verità, la stessa federazione internazionale ha provato a lasciar fuori Valv dal mondiale, ma quello è corso davanti al Tas (Tribunale amministrativo) e ha ottenuto il nullaosta, con la motivazione che non si può escludere un atleta privo di inchieste a carico. Una barzelletta: la Spagna non apre l'inchiesta, Valv può correre perché non ha inchieste a carico. Sono magnifici.

Quanto agli organizzatori, che ormai ecludono dalle proprie corse chi vogliono, non ne parliamo. Quelli della Liegi-Bastogne-Liegi sono gli stessi del Tour: i durissimi e purissimi. Ma di fronte al pronunciamento del Tas, non ci provano nemmeno più ad escludere il discutibile Valv. Subiscono in silenzio. Così, quello parte, va in fuga, e alla fine vince tra gli applausi. Proprio una bella festa. Chissà quanto fa felici i tre compagni di fuga. Sono il nostro Rebellin, ancora secondo, con la colpa imperdonabile d'aver lavorato troppo al fianco di un tizio come Valv notoriamente più forte allo sprint, nonché i fratelli Schleck, molto forti e anche molto impiastri.

Alle domande del dopo gara, Rebellin risponde che quando si arriva in volata con Valv c'è poco da fare.

Sorvolando sul fatto che quanto meno si potrebbe evitare di aiutarlo negli ultimi chilometri, come insegnavano i diesse di una volta, al buon Davide, così come ai fratelli Schleck, o al valoroso Bettini, o al giovane Nibali (decimo), o persino al delusissimo Cunego (preoccupante crollo nel giorno più importante), insomma a tutti quanti i simpatici ragazzi della compagnia battuti, è un'altra la domanda che andrebbe davvero posta. Questa. Unica e semplicissima. Scusate, simpatici ciclisti senza nubi e senza nebbie a gravare sulle spalle: che cosa si prova ad essere battuti e umiliati da un mito trasparente come Valverde?

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