Gianni Bugno: "Nella Pasqua del '94, la sorpresa più bella: la vittoria alle Fiandre nel calvario di freddo"

Il due volte iridato sulla classica che si disputa oggi: "Quel giorno tra neve e pioggia non volevo correre: ho pensato di mollare"

Gianni Bugno: "Nella Pasqua del '94, la sorpresa più bella: la vittoria alle Fiandre nel calvario di freddo"
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Per gran parte della giornata quel Giro delle Fiandre 1994 Gianni Bugno lo visse come un autentico Calvario, poi una vera e propria resurrezione, nel giorno di Pasqua. «Ancora oggi mi chiedo come sia stato possibile, come abbia potuto vincere una corsa così distante dal mio essere corridore, con caratteristiche tecniche sì di fondo e di velocità, ma non certo in possesso di doti di guida eccelse per fare la differenza su quelle superfici». Così il due volte iridato trent’anni dopo, che racconta di quel 3 aprile 1994 con distaccata incredulità. «Non volevo nemmeno correrlo quel Fiandre...».

Seppe mettere in fila gente che di nome faceva Johan Museeuw, Andrei Tchmil e Franco Ballerini.
«Il difficile era arrivare alla fine, ma semi portavano su un tratto in leggera salita poi me la giocavo eccome».

In verità la sua volata fu al limite del cardiopalmo: una vittoria al fotofinish per la smania di alzare anzitempo le braccia al cielo...
«Cosa vuole che le dica, io sono così. La vera gioia io la provavo solo in quell’attimo adrenalinico, un momento dopo per me era già tutto finito. Era tutta un’altra storia».

Di quella storia cosa ricorda?
«Che non solo non sarei partito, ma dopo poco mi sarei volentieri fermato. C’era neve e pioggia, faceva un freddo cane. Su quelle mulattiere non è proprio indicato correre in bicicletta».

Però ha vinto.
«Perché il mio allora team-manager (Gian Luigi Stanga, ndr) mi convinse. “Provaci, vedrai che con il tuo talento farai bene”...».

E lei?
«Vedremo... gli dicevo».

Gianni Mura l’aveva ribattezzata proprio così: “vedremo”.
«(sorride) Ci aveva visto giusto».

Anche Stanga, però.
«Vero anche questo. Ma la sa una cosa: a me l’agonismo non mi solleticava più di tanto. Mi è sempre dispiaciuto battere gli altri».

Come a Benidorm ’92, secondo mondiale consecutivo...
«Superai allo sprint Jalabert e il beniamino di casa Miguel Indurain, un caro amico, un grande corridore, un vero galantuomo: mi spiacque per davvero, non fu un modo di dire».

Sa che ho sempre ritenuto che lei fosse davvero “campione suo malgrado”?
«Forse è vero anche questo. Io mi sono trovato a correre in bicicletta perché lo facevano i miei amici e per delle doti che tutti mi riconoscevano, non posso dire di certo d’aver corso per passione».

Torniamo a quel Fiandre ’94: era una Pasqua freddissima.
«Entrai davanti nel primo tratto di pavé, uscii per ultimo. Mi dissi: “cosa ci faccio qui? Vedi che ho ragione a dire che non è la mia corsa”».

Primo Bugno, quarto Ballerini, sesto Baldato, poi Bontempi. Un ordine d’arrivo oggi improponibile.
«Dovremmo dire d’altri tempi... Oggi il ciclismo è davvero mondializzato, negli Anni Novanta erano cinque nazioni che la facevano da padrone».

Cosa le piace della vittoria?
«L’attimo in cui si taglia il traguardo. Un secondo dopo avrei voluto scomparire, per non mettermi in mostra».

Come vede il ciclismo attuale?
«È molto bello, con Pogacar su tutti, visto che è il più completo e il più talentuoso».

E noi italiani?
«Stiamo vivendo un momento di transizione, il nostro movimento sta cambiando pelle e siamo alla ricerca di nuovi interpreti. Filippo Ganna è chiaramente il nostro portabandiera, un uomo di assoluto valore internazionale, come Alberto Bettiol che si sta ritrovando, mentre Jonathan Milan è il nuovo che avanza, un ragazzo di assoluto talento che sta dimostrando di avere non solo uno spunto veloce, ma anche la tempra da cacciatore di classiche. Ci farà divertire».

Ecco il Fiandre(h.11 in diretta sulla Rai): Mathieu Van der Poel è il grande favorito.
«Lo sarebbe stato in ogni caso, ma ora che è uscito dai giochi Wout Van Aert a causa di una bruttissima caduta nell’ “attraverso il Fiandre”, Mathieu ha via libera».

Sa che Bettiol ha deciso quest’anno di correre anche la Roubaix.
«Fa bene, prima o poi uno come lui la Roubaix la doveva correre».

Fa bene Ganna a non

correrla?
«È l’anno olimpico e la Roubaix è una corsa che ti massacra il fisico e può anche far molto male, visto che le cadute sono l’unica cosa certa. Filippo fa bene a pensare alla crono e anche al quartetto su pista».

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