Cina: i terroristi islamici colpiscono ancora

I ribelli uiguri accoltellano tre guardie nello Xinjiang. Si teme un attentato suicida in città e tra gli stadi compaiono i blindati. Il comandante Seyfullah: "Colpiremo i Giochi". Per il governo: "Nessuna minaccia specifica"

Cina: i terroristi islamici colpiscono ancora

Pechino - Il primo era comparso una settimana fa. Un blindato leggero, di colore verdino, gommato. A mezzobusto, fuori dalla torretta, un carrista con occhi inamichevoli, a periscopio, come i cinesi sanno avere quando sono su di giri. Il maresciallo che comandava il drappello di rinforzo però mostrava un’aria stupita di fronte al nostro stupore. Come se dicesse: «Ma no... Niente... Un blindatino, che sarà mai...».

Ieri, intorno al grande palazzo che ospita i fotografi e i giornalisti accreditati al circo olimpico, di blindati ne sono comparsi almeno sei. Ma qualcuno dice di averne visti altri due a un chilometro dal Media Press Center, verso il «Cubo d’acqua» e il grande «Nido d'uccello». Sei «blindatini». Forse otto. Il maresciallo invece non si è visto. Così, non dico la paura, ma una certa irrequietezza ha cominciato a spargersi, tra i cronisti e le migliaia di spettatori venuti a godersi lo spettacolo in calendario. Dopo, molto dopo, si è saputo che c’erano stati altri tre morti di terrorismo a poca distanza dalla solita Kashgar, nello Xinjiang, terra di frontiera turcofona e musulmana del nord-ovest. E l’irrequietezza ha cominciato a virare in inquietudine.

Tre guardie ammazzate a coltellate da un gruppetto di islamici, dice l’agenzia di stampa cinese, che cercavano di forzare un blocco stradale. Tre giorni fa, a Kuqa, nel sud di quello che una volta, non senza buone ragioni, si chiamava Turkestan orientale, c’era stato un attentato alla bomba contro una caserma della polizia, con undici morti. Il 4 agosto un altro attacco, anche questo contro la polizia, con 16 morti. Totale, nel volgere di una settimana: 30.

Così, intorno al «Water Cube» dove Michael Phelps dettava la sua dura legge, nonché al Press Center, ha cominciato a spargersi una brutta sensazione. E cioè che gli indipendentisti uiguri, l’etnia che punta all’instaurazione di uno Stato islamico che tornerebbe a chiamarsi Turkestan orientale, appunto, facciano sul serio. E che le minacce rivolte il mese scorso attraverso un video da un tal comandante Seyfullah abbiano qualche fondamento. «Il nostro obiettivo - diceva Seyfullah - è di colpire nei luoghi interessati dalle Olimpiadi. Attaccheremo le principali città cinesi usando tattiche fino ad oggi mai viste...».

Insomma: la sensazione che gli uiguri dell’Etim (è l’acronimo della loro organizzazione) possano davvero puntare su Pechino, per un atto di forza spettacolare (ancorché suicida, vista l’altrettanto spettacolare cintura di sicurezza dispiegata dalle autorità) acquista di giorno in giorno più credito. E la comparsa dei blindati accentua il cupo disagio, come una cattiva premonizione, che si allarga intorno ai Giochi.

Al Parco di Jingshan, dove gli anziani fanno ginnastica, giocano a scacchi o si esercitano con i pennelli nell’arte antica della calligrafia, incontro un gruppo di ragazzi. No, non sono preoccupati, dicono. «C’è in giro un sacco di polizia, ci sono i volontari, c’è tutta una città con le antenne dritte. Non ci rovineranno i Giochi. Ma l’esperienza, come nel metrò di Londra, come a New York con le Torri Gemelle, ci insegna che è difficile tendere una rete impenetrabile contro i fanatici».

«Lo Xinjiang e il Tibet non sono mai stati in pace fin dal 1949 - diceva Xu Yongjun, 75 anni, pensionato, intervistato dai cronisti del China Daily nei giorni scorsi a proposito delle violenze a Kashgar -. I mezzi di comunicazione, oggi, sono più aperti rispetto a una volta. Così, almeno, sappiamo cosa succede. Probabilmente ci sono stati altri attentati, in passato, ma non l’abbiamo mai saputo. Certo bisogna anche ammettere che quei popoli sono alquanto diversi da noi. Insomma, non è un gran momento. Queste Olimpiadi sono state problematiche fin dall’inizio, con la torcia contestata ovunque durante il cammino...».

Vero è, tuttavia, che nessun governo al mondo si sognerebbe di spaventare inutilmente i suoi cittadini: ma la sensazione è che qui si esageri un po’, col silenzio. In qualsiasi Paese in cui l’opinione pubblica è tenuta dai governanti in qualche considerazione, un premier, un ministro degli Interni, un sindaco, quantomeno il capo dei pompieri sarebbe comparso davanti a un microfono per dire due parole rassicuranti. Qui, a dettare un capoverso di circostanza il regime ha mandato avanti un tal Wang Wei, svagato vicepresidente del comitato promotore dei Giochi.



«Personalmente non ho nemmeno visto i blindati - ha detto l’ineffabile Wang -. Se ci sono, la decisione è stata presa dalle competenti autorità, ma non credo che ci siano minacce specifiche». Fine del discorso. Qui Pechino, a dita incrociate.

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