La Cina mette nei guai gli Stati Uniti

L’import dal Paese asiatico spinge il deficit commerciale Usa a 70 miliardi

da Milano

I colpevoli sono i soliti noti: gli alti prezzi del petrolio e le importazioni di merci cinesi. Due fattori di criticità tali da rendere sempre più esplosiva la situazione della bilancia commerciale americana. La voragine di luglio (disavanzo di 68 miliardi di dollari) si è infatti ulteriormente allargata, fino a sfiorare in agosto i 70 miliardi, cogliendo in contropiede gli analisti che avevano scommesso su una contrazione del deficit a quota 66,7 miliardi.
Oltre a essere da record, il buco avrà quasi sicuramente ripercussioni sulla crescita economica Usa, accentuando la decelerazione già in atto da qualche mese. «Adesso ci aspettiamo una cifra del Pil per il terzo trimestre significativamente sotto il 2%», conferma David Sloan, economista di 4Cast. Ciò potrebbe condizionare le future scelte della Federal Reserve, anche se il dibattito interno sui pericoli portati dall’inflazione resta aperto. Tuttavia, nell’ultimo Beige Book reso noto nella serata di ieri, non si colgono accenti preoccupati sull’andamento dei prezzi. La banca guidata da Ben Bernanke ne offre al contrario una valutazione ottimistica, sottolineando come nelle ultime settimane vi siano stati «pochi segni» di crescenti pressioni inflazionistiche.
La stessa Fed conserva inoltre un giudizio benevolo sull’andamento del ciclo economico, che sconta comunque il rallentamento - generalizzato a tutti gli Stati dell’Unione - del mercato immobiliare. Nei 12 distretti che compongono la Riserva federale continuano infatti a registrare una crescita, caratterizzata da un’accelerazione della spesa al consumo in diverse aree del Paese.
Resta il problema della bilancia commerciale. Se è probabile che il sostanziale rientro delle quotazioni del greggio nell’ultimo periodo (dai 66,12 dollari in media di agosto i prezzi sono ora scesi attorno ai 60 dollari) possa contribuire ad alleggerire il passivo di settembre, resta irrisolto il problema legato all’import dalla Cina. La visita a Pechino nello scorso settembre del segretario al Tesoro, Henry Paulson, non ha portato a una ricomposizione dei contrasti in campo economico. Soprattutto quelli legati alla rivalutazione dello yuan, tenuto artificialmente basso dal governo cinese proprio allo scopo di agevolare il made in China.

In agosto, gli Stati Uniti hanno infatti acquistato merci dal Paese asiatico per 26,7 miliardi, un picco assoluto, mentre le esportazioni verso il colosso orientale sono scese a 4,8 miliardi. La situazione è chiaramente sbilanciata, e offrirà il destro a quanti, all’interno del Congresso Usa, spingono da tempo per l’introduzione di dazi sui prodotti importati dall’ex Impero Celeste.

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