Oramai è un dato quasi stabile. Ma è così clamoroso che quasi ci si stupisce a ripeterlo: il cinema italiano è il più visto nei cinema italiani. E non è un ossimoro. Ieri sono stati diffusi i dati del campione Cinetel che segue landamento di circa il 90 per cento delle sale cinematografiche. Nonostante si sia registrata a maggio una diminuzione della vendita dei biglietti rispetto allo scorso anno, la quota di mercato dei film italiani nei primi cinque mesi del 2011 resta molto alta: 48,44 in termini di biglietti venduti (era del 31,25% da gennaio a maggio 2010) mentre quella dei film statunitensi è al 43,44 % (era al 59,33%).
«Bisogna risalire a metà Anni 60 e primi 70 - ricorda Bruno Torri, presidente del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici - per ritrovare il cinema italiano al di sopra del 50 per cento con un sorpasso stabilizzato rispetto a quello americano». E in effetti nel lontano biennio 1974-1975 il cinema italiano era al 59,3 per cento e quello americano al 25. Mentre ora il pubblico italiano sembra lasciare molto poco spazio alle cinematografie europee.
Fenomeno che si evince anche dai primi dieci incassi da gennaio ad oggi che, se escludiamo i titoli stranieri anglosassoni comunque a fondo classifica (Il discorso del Re, Hereafter e Il cigno nero), sono una lunga teoria di opere italiane dal comune denominatore del genere di appartenenza, la commedia (Che bella giornata in vetta e di seguito Qualunquemente, Immaturi, Femmine contro maschi, La banda dei Babbi Natale, Nessuno mi può giudicare, Manuale damore 3).
Certamente tutti questi dati sono meramente quantitativi anche perché è difficile entrare nel merito della qualità di film così eterogenei ma è altrettanto evidente che qualcosa di positivo sta accadendo e che coincide proprio con il periodo in cui lo Stato sembra sostenere di meno il cinema italiano. Diciamo «sembra» perché, se è vero che linvestimento statale nella produzione cinematografica si è drasticamente ridotto dal 2005 ad oggi rispetto al quinquennio precedente, è anche vero che la metà dei finanziamenti non sono più diretti ma sotto forma di benefici sgravi fiscali. Tanto che Nicola Borrelli, commentando uno studio recentemente pubblicato dalla Direzione Generale per il Cinema che dirige, ha dichiarato a Il Sole 24 Ore: «Il ruolo imprenditoriale dei produttori è tornato in primo piano e lo stato di salute del cinema italiano, seppure con alcune ombre su cui occorre intervenire, è in netta risalita».
Dati confermati anche da un altro rapporto, Il mercato e lindustria del cinema in Italia, presentato dalla Fondazione Ente dello Spettacolo in collaborazione con Cinecittà Luce, in cui si evidenzia che nel 2010 sono stati prodotti 141 film (di cui 114 con capitali solo italiani e 27 coproduzioni): il terzo miglior risultato degli ultimi 30 anni, dopo i 163 del 1980 e i 154 del 2008. LItalia è quindi oggi il secondo produttore europeo e il settimo al mondo dopo India, Stati uniti, Giappone, Cina, Corea del Sud e Francia.
E mentre si organizzano convegni per capire il fenomeno, come Cinema e/è Made in Italy?, organizzato nella Capitale dalluniversità di Roma Tor Vergata il 16 giugno allAnica (la Confindustria del cinema), Paolo Del Brocco, amministratore delegato di RaiCinema, che proprio ieri ha incontrato i giornalisti per presentare il ricco listino di film 2011-2012, cerca di spiegare il fenomeno: «Bisogna dire che da quando è stata creata RaiCinema alla fine degli anni 90 la quota del cinema italiano è progressivamente aumentata. Allora era de 17 per cento e se anche ora dovesse attestarsi al 35 per cento, rispetto allattuale record del 50 per cento, parliamo sempre del doppio in poco più di un decennio».
La speranza è che la qualità incontri la quantità
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