Silvia Kramar
da New York
Adesso c'è un altro indice economico che preoccupa gli americani oltre a quello della Borsa. È quello dei botteghini del cinema, che ormai da quindici settimane consecutive risultano vittime di un assenteismo che, a sentire gli esperti, ha valide ragioni di esistere e di proliferare. Il cinema americano non è più quello di una volta, quello dei kolossal e dei cosiddetti blockbuster: film cioè che costavano miliardi, ma che ne riportavano a casa almeno il doppio. Dai tempi del muto gli studios hollywoodiani si erano abituati a vendere un prodotto insostituibile, lesclusiva dellentertainment di massa: popcorn e cinema erano il rito serale con cui erano cresciute generazioni di americani. Ma le nuove statistiche angosciano l'intero settore. Basta vedere gli incassi di questultimo weekend: primo in classifica è il cartone animato della Dreamworks Madagascar, che nella seconda settimana di proiezione ha racimolato 28,7 milioni di dollari. Al suo esordio, Cinderella Man di Ron Howard ha fatto vendere biglietti per un magro totale di 18,6 milioni di dollari guadagnando sì il secondo posto, ma rattristando profondamente i produttori che si aspettavano almeno il doppio. Al terzo posto due aspiranti blockbuster: uno della Warner, Sisterhood of the travelling pants, per ragazzine (solo 10,2 milioni); laltro della Sony/Tristar Lords of dogtown, indirizzato ai ragazzini (5,7 milioni lincasso). Star Wars Episode III, nella terza settimana, ha venduto biglietti per 26 milioni di dollari (raggiungendo un totale di 308 milioni) ma è stato sfidato e vinto dalla commedia con Adam Sandler The Longest Yard.
La situazione ormai preoccupa tutta Hollywood: per mesi si era detto che, forse, agli ingredienti necessari per portare la gente al cinema mancava quello principale, lalta qualità. Ma questo è ormai il terzo anno di un lento declino degli studios: gli esperti devono ammettere che cè dellaltro, dietro l'assenteismo degli spettatori. Come una tecnologia che li incatena a casa, a giocare con la Tv via cavo, con il loro Tivo, con Internet, con i film presi in affitto. Che ormai escono in casetta a solo quattro mesi dalluscita in sala: una politica che, come un boomerang, rischia di scoppiare in faccia ai produttori. Nel 2003 era mancato dalle sale il 4% degli spettatori, nel 2004 il 2% e quest'anno ben l'8%. .
A restare sul divano sono oggi soprattutto i giovani e i baby-boomer, proprio il target su cui da anni contavano a Hollywood. La sfida al cinema in sala oggi viene dallincredibile popolarità di tecnologie come il Tivo o il video on demand, grazie alle quali un consumatore può vedere ciò che vuole. Nella pace di casa (il 60% delle abitazioni americane dotate di televisore possiede anche un video registratore) i nuovi schermi high-definition hanno portato una tale qualità tecnica dellimmagine da non far rimpiangere quella delle sale. «È vero, la qualità delle pellicole è diminuita - spiega Paul Dergarabedian, presidente della Exhibitor Relations Company, società che analizza i risultati dei box office - Ma si possono sempre fare film migliori. Il problema è un altro: le persone non hanno più voglia di andare al cinema, di cercare parcheggio, di fare la coda». Secondo una statistica della Motion Picture Association of America, l'anno scorso gli americani hanno trascorso mediamente 78 ore davanti a un video, un aumento del 53% rispetto al 2000. Nello stesso periodo le vendite di Dvd sono aumentate del 676,5%, con un giro d'affari complessivo di 21 miliardi di dollari.
Gli ottimisti continuano però a sperare: dopotutto il movie business, con un giro d'affari di 9 miliardi e mezzo di dollari, è ben lontano dal diventare una creatura in via d'estinzione. A tenerlo in vita, per ora, due generi: i cartoni animati e i supereroi dei fumetti.
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