Cinema

Depp a Cannes, una presenza che diventa “la lezione di Johnny

Il divo americano, reduce da un periodo a dir poco difficile, è il fulcro del Festival di Cannes di quest’anno. Ecco come ha gestito l’agonia del tappeto rosso e domato i giornalisti

Depp a Cannes, una presenza che diventa “la lezione di Johnny”

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Quarantacinque minuti di ritardo. Johnny Depp arriva alla conferenza stampa per la presentazione di “Jeanne du Barry”, il film della regista francese Maïwenn che lo vede protagonista e con cui si è aperto il Festival, come solo ai divi è forse concesso: facendo cioè disperare una defezione dell’ultimo momento.

Invece appare, quando ormai non ci credeva più nessuno, ed è bello come il sole o almeno con l’avanzare degli anni nascosto dietro i capelli, stavolta sciolti. La mente va subito al Johnny Depp dei tempi d’oro, il semi-Dio dalla bocca a cuore e dalle note intemperanze. Di allora sembrano rimasti solo gli amori turbolenti, direbbe qualcuno, se non fosse che anche quelli sono stati fortunatamente archiviati. L’ex moglie Amber Heard dopo il processo con copertura mediatica totale di cui i due sono stati protagonisti, sembra un lontano ricordo.

Sono trascorse solo una manciata di ore ma quello di fronte ai giornalisti non è più il Depp apparso più che a disagio sul tappeto rosso la sera prima. Lì il divo era perso, ma non dentro alla solita malcelata idiosincrasia per le convenzioni che un ribelle come lui ha connaturata. Osservarlo per tutti gli interminabili minuti costellati di soste che separano il primo metro di red carpet dall’ingresso del Palais, muoveva compassione più che ammirazione. Intendiamoci, il divo si era prestato perfino a fare selfie con un cagnolino e aveva fatto toccare il cielo con un dito ai molti assiepati da ore lungo le transenne; ma quella gentilezza negli occhi sfumava in sgomento non appena Depp doveva interagire con la kermesse in senso lato anziché col singolo fan.

Uno come Depp è abituato da tutta la vita a muri umani di fotografi ma forse stavolta c’è stato davvero qualcosa di diverso, se la sensazione è stata quella di osservare un animale da circo, sofferente, al guinzaglio di uno stuolo di domatori. Solo la complicità con Maiween ha rischiarato il suo viso prima di percorrere assieme al cast quei metri. Lei era tesa, sembra avergli chiesto di controllare qualcosa dell’abito. Lui le ha guardato quindi sommessamente la schiena, l’ha presa sottobraccio e l’ha rassicurata con qualcosa che è sembrato un “no”. Maiween è stata la sua stampella emotiva, si sono tenuti per mano e non perché fosse ciò che si aspettava chi li stava osservando, ma perché evidentemente ce ne era bisogno.

Quando dunque non si è visto arrivare Johnny Depp in conferenza stampa, onestamente è venuto da pensare che per il suo bene fosse meglio così: devono pur esserci cose più importanti da preservare rispetto al lancio di un film. Il proprio equilibrio, ad esempio. Vederlo entrare nella sala, oramai inatteso, ma in forma come non mai, è stato un sollievo vero.

Il resto è una lezione di stile. Depp con la sua solita voce profonda e il modo unico di centellinare lente le parole, mette in chiaro coi presenti che non si sente boicottato in America, uscendosene con un lapidario e liberatorio: «Io a Hollywood non penso più». Reduce dalla firma del contratto più alto di sempre per un profumo maschile (oltre 20 milioni di dollari con Dior), è qui per assaporare la sua (ennesima) rivincita.

La parte più difficile è passata, era quella del galà d’apertura. Ora, forte della standing ovation e dei sette minuti di applausi riscossi a fine film, la tensione si è stemperata. «Su di me sono state scritte solo fandonie, scritte pure male». Inizia a togliersi qualche sassolino dalla scarpa, ma è solo un vezzo. Non ne ha bisogno.

Quello visto ieri è un uomo finalmente libero.

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