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È ufficiale: Clint Eastwood torna dietro la macchina da presa a 92 anni

Juror number 2 è il titolo provvisorio del progetto. L’anticipazione della trama ci porta in un tribunale americano dove il giurato protagonista, in un processo per un delitto, scopre che probabilmente è stato lui stesso a causare la morte della vittima

È ufficiale: Clint Eastwood torna dietro la macchina da presa a 92 anni

Clint Eastwood torna dietro alla cinepresa, girerà il suo nuovo film: Juror number 2 (“Il secondo giurato”) è il titolo provvisorio del progetto. Ma non poteva godersi la pensione, a 92 anni suonati? Che diventeranno 93, quando uscirà il suo nuovo lavoro? No, perché il grande regista americano non è soddisfatto del suo ultimo lungometraggio, Cry Macho, che è stato accolto tiepidamente dalla critica ed è anche andato male al botteghino (ha realizzato 16 milioni di dollari, la metà del suo costo di produzione). E allora vuole rilanciarsi, nonostante l’età. Fosse anche il suo ultimo film, vorrebbe finire la carriera a testa alta.

Stavolta Eastwood non interpreterà il ruolo del protagonista, contrariamente ai suoi ultimi The Mule e, appunto, Cry Macho. A recitare sarà Nicholas Hoult, già interprete dello scrittore JRR Tolkien ed ora più noto al pubblico televisivo con The Menu. La coprotagonista sarà invece Toni Collette, attrice australiana veterana (abbiamo iniziato a vederla in Emma del 1996) e impegnatissima in questo momento cinematografico (altri due film già in produzione). L’anticipazione della trama ci porta in un tribunale americano dove il giurato protagonista, in un processo per un delitto, scopre che probabilmente è stato lui stesso a causare la morte della vittima. Allora che si fa? Si confessa e si subisce il castigo per amore della verità? O si manipola la giuria per uscire illesi dall’oscura vicenda?

La sceneggiatura non è originale di Eastwood, è scritta da Johnathan Abrams. Ma contiene molti degli elementi che piacciono a Clint e che hanno caratterizzato i suoi film migliori. Il primo è l’amore per la verità. La mamma del bambino scomparso in Changeling non accetta che la polizia le restituisca un figlio non suo (un “changeling” nella mitologia celtica) ed è disposta a lottare anche contro le autorità (corrotte) per scoprire la verità, anche se la verità è dolorosissima. Richard Jewell, protagonista, reale, dell’omonimo film, è eroe per un giorno e poi subito dipinto come un mostro dai media. Ha salvato le Olimpiadi da un attentato dinamitardo, di cui poi lui stesso viene accusato, a causa di una cronista senza scrupoli. Alla fine sarà la verità a renderlo libero di nuovo. Chesley “Sully” Sullenberger, il pilota autore del miracolo dell’Hudson (l’Airbus fatto ammarare sul fiume Hudson, a Manhattan, per evitare lo schianto: 150 passeggeri e 5 membri dell’equipaggio salvi), da eroe quale è, deve però dimostrare di avere fatto tutto il possibile per salvare le vite delle persone di cui era responsabile. E di non essere responsabile di una mera “spacconata”.

La verità, in Clint Eastwood è strettamente legata alla libertà. Tutti gli eroi di Eastwood sono uomini liberi, indipendenti, proprio per questo ruvidi come i primi pionieri americani. È un uomo libero l’anziano operaio Walt Kowalski, protagonista di Gran Torino: difende la sua proprietà e lo stile di vita americano in un mondo ormai trasformato fino a diventare irriconoscibile. Il suo sacrificio finale, una scelta deliberata, libera il quartiere dal crimine. È libera fino alla fine la promessa del pugilato Maggie Fitzgerald, la Million Dollar Baby che sceglie la morte piuttosto che una vita da invalida. È libero, benché inquadrato in un esercito, anche il tiratore scelto Chris Kyle, l’American Sniper che si offre volontario per andare in guerra contro il terrorismo, subito dopo l’11 settembre, perché, come diceva suo padre, fra lupi e pecore lui vuole essere il cane pastore. E Clint, con la sua maestria, riesce a trasformare il ruolo più infame dei film di guerra, il “cecchino”, nel vero eroe: non uccide per uccidere, ma lo fa per salvare vite, per proteggere il gregge dagli aggressori.

La libertà è infatti sempre legata a una grande responsabilità, non è mai sinonimo di licenza. Il trafficante (suo malgrado) di The Mule, usa i soldi dello spaccio per migliorare la sua comunità. Ma alla fine si dichiara colpevole, senza alcun indugio, per amore della verità e della giustizia. Al delitto segue sempre il castigo, si può essere sempre sereni in questa certezza morale. O quasi sempre, perché in Mystic River si esce con un senso di profonda ingiustizia, impunita e mai sanata.

E quindi, in Juror number 2, sarà fatta giustizia? Non abbiamo spoiler da rivelarvi. Auguriamo a Clint Eastwood di dircelo lui, portando a termine il suo lavoro.

E speriamo che non sia neppure l’ultimo, visto che, dopo Gran Torino, in cui si ritrae nella bara nelle scene finali, ha girato, finora, altri 10 “ultimi film”.

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