
È una fronda ormai maggioritaria all'interno delle gerarchie cattoliche italiane (non tra i fedeli) che non perde occasione per polemizzare con il centrodestra, indipendentemente dal fatto che questo sia al governo oppure no. Il centrodestra è, del resto, l'area politica della gestione restrittiva dei fenomeni migratori, il lato dello scacchiere che spinge per il rispetto della legalità.
Non è un segreto che, negli ultimi decenni, una parte significativa dell'associazionismo cattolico abbia spostato il proprio baricentro verso sinistra, promuovendo un messaggio triplice: accoglienza pressoché illimitata dei migranti, facilità nell'accesso alla cittadinanza per gli stranieri e apertura ai cosiddetti "nuovi diritti", compresi quelli rivendicati dalla comunità Lgbtq. Il tutto, spesso, in sintonia con la Conferenza episcopale italiana e le sue diramazioni, e con le Ong. Non stupisce, quindi, che all'indomani di una sentenza della Corte di giustizia europea sui cosiddetti Paesi sicuri, monsignor Gian Carlo Perego presidente della Fondazione Migrantes e della Commissione episcopale per le migrazioni abbia attaccato il governo guidato da Giorgia Meloni con toni che ricordano da vicino quelli di un parlamentare di Avs. Perego ha parlato di "strategie subdole" in relazione ai Cpr costruiti in Albania. La Fondazione Migrantes è stata istituita nel 1987, la sua missione è aiutare le chiese locali nell'assistenza e nell'accoglienza dei migranti. È un organo dalla Cei, e fino agli anni '60 si occupava di emigranti italiani.
A giugno era stato il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei e arcivescovo di Bologna, a dirsi "deluso" dall'esecutivo per una presunta modifica dell'esecutivo Meloni dell'accesso all'8x1000. Sono bastati pochi minuti per scoprire come la modifica in questione fosse stata approvata dal secondo governo presieduto da Giuseppe Conte. Ma la questione davvero centrale per questa rete progressista resta quella migratoria. Migrants First, prima i migranti, ogni migrante conta: se esistesse un motto del fronte cattolico-progressista, suonerebbe più o meno così. Ne fanno parte Caritas, il Centro Astalli, che è la sede italiana del Jesuit Refugee Service, le Acli, la Comunità di Sant'Egidio, l'Azione cattolica, l'Agesci. Le stesse sigle che, a ben vedere, hanno sostenuto il referendum sulla cittadinanza dello scorso giugno. Quello che non ha raggiunto il quorum. Lo stesso in cui, sul quesito relativo alla cittadinanza, ben il 35% di chi è andato alle urne (pochi) ha preferito votare "no". C'è un distacco - quindi - tra le battaglie portate avanti dai catto-dem e la visione dei fedeli italiani. Quelli che non possono fare a meno di notare un certo disequilibrio comunicativo: tanto fervore su migranti e cittadinanza dalle gerarchie ecclesiastiche, poco sui cosiddetti "valori non negoziabili" tanto cari alle piazze cattoliche di un decennio fa. Ora, la rivendicazione politica principale, riguarda lo Ius soli.
Perego non è stato il solo a contestare il "modello Albania", appoggiandosi sulla sentenza della Corte Ue sulla designazione dei Paesi sicuri da parte della magistratura. Le Acli, con il responsabile immigrazione Gianluca Mastrovito, ha attaccato l'esecutivo a sua volta, parlando di "scorciatoie illegittime". È un coro univoco che aveva raggiunto una tonalità massima con Matteo Salvini ministro dell'Interno. L'influenza di Giorgia Meloni sta cambiando la visione dell'Unione europea in materia migratoria. "Il rischio - ci dice un vescovo che preferisce non rivelare il suo nome in pubblico - è che la Chiesa italiana appaia schierata in modo partigiano, perdendo la propria funzione unificante e spirituale".
E ancora: "La credibilità delle istituzioni ecclesiali dipende dalla capacità di parlare a tutti, non solo a una parte".Un'asserzione con cui le prime mosse di Papa Leone XIV per la Chiesa universale sembrano concordare in maniera perfetta.