Dazi, Trump fa cassa con 152 miliardi

Le tariffe diventano un affare per Washington, ma il conto peserà sui consumatori

Dazi, Trump fa cassa con 152 miliardi
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Donald Trump ha trasformato i dazi in una vera e propria macchina da soldi per le casse federali. A oggi, secondo il New York Times, il presidente ha raccolto ben 152 miliardi di dollari in entrate tariffarie soltanto nei primi mesi del 2025 quasi il doppio rispetto ai 78 miliardi dello stesso periodo dell'anno fiscale precedente. E il meglio o il peggio, a seconda dei punti di vista deve ancora venire: dal 7 agosto scatteranno nuovi dazi, alcuni dei quali ai livelli più alti mai registrati da quasi un secolo.

Solo nel mese di luglio, i dazi hanno portato a Washington quasi 30 miliardi di dollari. A questo ritmo, secondo le previsioni di diversi analisti e centri di ricerca, le entrate tariffarie potrebbero superare i 2mila miliardi di dollari nel prossimo decennio.

Una cifra impressionante, che Trump e i suoi consiglieri come il direttore del Consiglio economico nazionale Kevin Hassett rivendicano come un successo strategico. "Abbiamo fatto in modo che l'Europa accetti i nostri termini, e ora applichiamo un dazio del 15% che ci garantisce 100 miliardi l'anno", ha detto Hassett a Fox News Sunday, parlando di "grande vittoria per agricoltori e imprenditori americani".

Che Trump stia giocando una partita a poker con cui "ha massimizzato gli interessi dell'economia americana", come ha osservato il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, appare sempre più evidente. La speranza del titolare del Tesoro (e di tutto il governo) è che le trattative si risolvano positivamente per l'Italia. "Non è banale se alcuni prodotti agricoli saranno ricompresi o come verrà trattata la farmaceutica, uno dei settori a maggior sviluppo in Italia", ha detto sabato in videocollegamento con la festa della Lega a Cervia. Insomma, un bilancio sarà possibile solo alla fine di questo processo. Non è detto che l'esito sia positivo, però. Secondo il rappresentante commerciale Usa, Jamieson Greer, "Trump sta facendo esattamente quello per cui è stato eletto: difendere l'economia americana".

Ma se le casse federali sorridono, gli americani potrebbero trovarsi a pagare il conto. Secondo uno studio del Budget Lab di Yale, i nuovi dazi comporteranno un'imposta media del 18,3% sui beni importati il livello più alto dal 1934 e un'inflazione interna dell'1,8%, che tradotta in termini reali significa una perdita media di 2.400 dollari annui per famiglia. Dazi che, pur formalmente rivolti all'esterno, si comportano sempre più come un'imposta interna occulta.

Lo scenario delineato dagli economisti è tutt'altro che rassicurante: gli effetti dei dazi combinati con un contesto globale già fragile alimentano pressioni inflazionistiche, aumentano i tassi di interesse e spingono gli investitori a riorientare le loro strategie, come osserva Sebastien Mallet di T. Rowe Price. "Si torna alla difensività, alla diversificazione, ai settori value come industria e finanza. Il decennio della crescita facile e dei tassi a zero è finito", ha osservato.

La riapertura odierna delle Borse dopo i cali significativi di venerdì scorso non si preannuncia facile. Le politiche tariffarie americane non hanno solo effetti interni. Raphael Thuin di Tikehau Capital nota come l'intesa tra Stati Uniti e Ue abbia per ora evitato scenari catastrofici, ma ha sottolineato che il paradigma è totalmente cambiato. "I dazi stanno diventando una componente strutturale dell'economia globale", ha chiosato aggiungendo che "le imprese devono adattarsi e i mercati valutano con sempre maggiore attenzione fattori come la resilienza delle supply chain, la capacità di trasferire i costi sui clienti e la produzione localizzata negli Usa".

Moreno Zani, presidente di Tendercapital, lancia un appello. "Non possiamo permetterci un quadro normativo rigido che freni gli investimenti nei settori chiave come energia, AI e tecnologia. L'Europa deve tornare a competere ad armi pari".

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