Trent'anni fa con Affittopoli abbiamo stanato gli scrocconi

Feltri, allora direttore: l'Inps aveva un patrimonio immobiliare di miliardi, ma rendeva appena l'1,25%

Trent'anni fa con Affittopoli abbiamo stanato gli scrocconi

La casa è il luogo del cuore di ogni italiano, il suo patrimonio materiale e affettivo. A somiglianza dell'organo che sta in mezzo al petto, essa è sia la pompa meccanica dell'economia nazionale e familiare sia la cosa che è meno cosa di tutte: batte e respira come una persona, la casa è la nostra identità. Gli scandali che afferrano il nostro popolo alla gola non sono quelli sessuali - quelli accarezzano altri luoghi, specie le corna ma riguardano la casa nostra o altrui. Il fatto che qualcuno l'abbia rubata, o ne goda grazie a privilegi e raggiri attizza un'attenzione spasmodica, induce a leggere indirizzi, controllare i nomi sui citofoni, invocare giustizia, spedire a redazioni o procure una volta fax adesso mail. Questo spiega l'interesse suscitato dall'inchiesta che in queste settimane tiene banco a Milano sulla costruzione di palazzoni e grattacieli con (presunte) truffe alla collettività. Qualcuno l'ha battezzata Palazzopoli. Mah

Posso esprimere una sensazione: questa è ben piccola cosa rispetto allo scandalo che fu svelato su questa prima pagina trent'anni fa: Affittopoli. È il caso di rinverdirne il ricordo, visto che riguardando il Giornale, e i suoi allori, e perciò suscitando invidia, non la richiamerà nessuno. Fu un tempo magico l'agosto del 1995 per chi lo visse in prima persona la redazione di cui ero alla guida, e i nostri lettori che subito vi s'identificarono -, e rappresentò un salto nella coscienza degli italiani. Altro che Tangentopoli. Mani pulite puntò riuscendoci - alla liquidazione delle forze filo-occidentali che erano sempre state dalla parte di qua del Muro di Berlino (i partiti e le correnti di Craxi, Forlani, Andreotti, Pri, Pli e Psdi) e alla salvezza di chi stava dall'altra parte, comunisti e presunti ex, nutriti dall'oro di Mosca. Insomma: lo scandalo fu pilotato, si scovò il malaffare dove conveniva ai ladroni progressisti, ammogliati con la stampa. Affittopoli nacque invece in redazione, e il suo procedere martellante se ne infischiò delle appartenenze politiche, non grattò le teste degli inquilini per scoprirne le idee ma ne esplorò le tasche, le misurò con le pigioni e l'onestà delle assegnazioni da parte di enti previdenziali. Risultati dell'inchiesta? Redditi grassi, affitti da pitocchi, raccomandazioni pelose.

Populismo? Giornalismo. Prima ignorato dalla concorrenza. Infine la diga omertosa venne giù. Di questa storia sintetizzo il metodo e la storia. Ne enuncio però anzitutto i risultati. Il Giornale che nel gennaio del 1994, quando ne presi il timone dopo Montanelli, boccheggiava vendendo 110mila copie, e che a metà agosto del '95 superava già le 160mila copie, in poche settimane mise su ciccia: l'inchiesta lo arricchì di trentamila nuovi acquirenti, e da lì prese la rincorsa, fino ad ascendere nel 1996 a quota 260mila. La morale è che a far bene il proprio mestiere conviene all'anima ma anche il corpo non ne soffre. Utili spirituali e materiali si dettero così appuntamento in via Gaetano Negri numero 4. Tranquilli, la lezione di deontologia la chiudo qui.

Questa piccola grande epopea giornalistica era germinata da una notiziola fatta di cifre e di sigle di enti, prima di allora trascurata e accolta come una banalità dai mass media. Perciò inedita. A individuarla fu il vicedirettore vicario, Maurizio Belpietro. Secondo le risultanze della Commissione parlamentare di controllo degli enti previdenziali l'Inps ricavava dal suo patrimonio di case valutato circa 5mila miliardi (dati del marzo 1994) il "reddito insignificante dell'1,25 per cento". Ci dicemmo: vuol dire che gli affitti sono irrisori, e nessuno pone rimedio. Perché? Ipotesi: conviene a chi se li è accaparrati e ha il potere di non cambiare l'andazzo. Eccoci in redazione. Il 16 agosto le edicole sono chiuse. La noia del Ferragosto impone di uscirne con uno scatto. Bisogna aprire un fronte nuovo. Lanciamo in aria la pepita sperando che sia afferrata per il suo valore. Roba da lucidare: ma l'oro non invecchia, bisogna investirci. Il 17 agosto cominciamo con questo titolo che apre la prima pagina: "L'Inps regala le sue case. A chi?" (nella foto quella prima pagina). E per occhiello: "Lo stesso scandalo riguarda un'infinità di altri istituti: Enpals, Inpdai, Inadel, Inpdap e Inail". Il punto di domanda deve trovare risposte. E a questa ricerca si dedica in particolare la redazione romana. Ci sono il capo Andrea Pucci e Gian Marco Chiocci (la cui bravura li ha portati ai vertici dei Tg rispettivamente di Mediaset e Rai), e tra gli altri ricordo con commozione Gianni Pennacchi, prematuramente scomparso. Pucci organizza un commando spericolato. Non hanno a disposizione le armi della Procura, ma suole delle scarpe, agendine telefoniche, informatori da lusingare. La messa è molta, gli operai pochi, ma eccellenti.

Il 18 titoliamo: "L'Inps non sa quante case ha". Nell'editoriale scrivo che i "boiardi acefali" passano agli amici il patrimonio accumulato coi contributi dei lavoratori ricavando un quinto o un sesto di quel che renderebbero "se gestiti da privati", "E intanto i pensionati stringono la cinghia" (titolo). Concludo: "Una brutta storia che ci impegniamo a seguire con la speranza di contribuire a darle un lieto fine". Pubblichiamo elenchi, interessano sì, ma ai vicini di casa, a chi ha fatto domanda senza che sia stata accolta. E scopriamo che sono tanti. Il 19: "Chi li ha visti?". Accanto al titolo cubitale, le foto illustrano il ministro del Lavoro Tiziano Treu e il presidente dell'Inps Gianni Billia intenti a sorbirsi il cappuccino. "Sono scomparsi pur di non spiegare perché le case sono affittate ai soliti raccomandati e rendono appena 69mila lire al mese".

Tre colpi. 17-18-19. Stiamo accorgendoci che la vena aurifera è gigantesca. Si tratta di scavare, strapazzarsi come i cercatori d'oro dell'Amazzonia. D'oro ne portammo a casa carrettate e persino qualche diamante. Trovammo tra i privilegiati D'Alema e Veltroni, Casini e Mastella, Violante e Nilde Iotti. Devo saltare tanti passaggi. Recupereremo prossimamente. Le nostre prime pagine su Affittopoli resistettero per trenta e più giorni. Intanto tocca segnalare un paio di cose. Il termine Affittopoli lo coniai al tredicesimo colpo, 29 agosto, e fu il nostro 13 al Totocalcio. "Silenziatore dei giudici su Affittopoli". Sommario: "La Procura di Roma impone il segreto istruttorio sugli elenchi degli inquilini eccellenti e ne vieta la stampa". Il contrario esatto che a Tangentopoli quando le carte passavano direttamente da Palazzo di Giustizia alle edicole

Finalmente il primo clamoroso successo. Il 5 settembre Massimo D'Alema e meritò la mia stima per questo al Maurizio Costanzo Show annuncia che lascia la casa dell'Inpdap entro l'anno, rinunciando al privilegio ("Mi sento in grande imbarazzo", confessò). Il Corriere della Sera, dopo averci snobbato, propone in prima pagina un fondo di Francesco Merlo. Che esordisce così: "La vicenda che ha portato al trasloco di Massimo D'Alema sia seguito o no da altri analoghi traslochi è la vittoria di una grande inchiesta del Giornale di Vittorio Feltri, che con Affittopoli ha messo in moto la macchina estiva di una morale contro l'altra". Quella della gente comune contro quella degli scrocconi.

Da quel momento Affittopoli entra nel

linguaggio comune, e dal 2008 è parola registrata dalla Treccani: "Scandalo relativo alle case di proprietà di enti pubblici o economici assegnate in affitto a personaggi eccellenti". Perfetto direi. Ma la storia continua.

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