Il Giornale a Sarajevo

Le cicatrici della guerra rivivono nei ricordi dei viaggiatori che hanno visitato i luoghi dove brucia ancora l'antico fuoco delle divisioni etniche

Il Giornale a Sarajevo
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Il fascino della capitale bosniaca, le cicatrici della guerra, i testimoni opposti dell'invisibile confine etnico emergono da impressioni ed emozioni dei partecipanti al primo esperimento di viaggio del Giornale e corso di formazione sul campo per giovani giornalisti.

"Destinazione Sarajevo" viene raccontata in questa pagina attraverso i ricordi e le immagini dei viaggiatori che hanno apprezzato la sfida di un nuovo modo di visitare e scoprire luoghi che sono stati dilaniati dalla guerra, dove il fuoco cova ancora sotto la cenere delle divisioni etniche. "Tutto è cominciato per caso leggendo una storia di Facebook, che parlava di un viaggio con il giornalista Fausto Biloslavo, organizzato da Il Giornale. Così, da Bologna a Vienna, io, da sola, e da lì a Sarajevo, ancora in aereo, sul quale, per fortuna, ho conosciuto Marco, sardo, e due ragazzi di Roma", scrive Orietta Venturi. E poi una volta arrivata al leggendario Holiday Inn di Sarajevo si rompe il ghiaccio: "La prima sera, la cena tutti insieme, a cercare di capire dove mettersi a sedere, a dirsi il proprio nome e da dove venivamo. Per me la magia è cominciata lì".

Paolo Adduce sottolinea che "i giorni a Sarajevo sono stati intensi. Il conflitto che ha travolto la Bosnia negli anni '90 è ancora palpabile e vivo negli occhi e nei racconti delle persone. Le ferite sono molteplici e continuano a sanguinare. Mi ha colpito quanto la vita e la voglia di vivere si imponga con forza sulla morte e sulla distruzione, sia durante che dopo un conflitto". Il viaggio del Giornale ha portato tutti a scontrarsi con "il concetto di 'etnia' il quale a volte viene legato impropriamente alla 'razza', a criteri biologici e genetici. Non dimenticherò mai quello che ho visto e vissuto".

Cinzia Battista, mia moglie che da tempo vuole che io appenda il giubbotto antiproiettile al chiodo, è rimasta affascinata dalla "magica Sarajevo. Vieni subito catapultato in un'atmosfera multietnica all'ennesima potenza. Ragazze alte, bionde con minigonne vertiginose che camminano e chiacchierano amabilmente con coetanee super avvolte negli abiti musulmani".

Un viaggio controcorrente "in cui abbiamo vissuto la modernità della città e ascoltato i racconti della guerra. Grazie al Giornale per questa vacanza a 360 gradi".

A Nina Marchesini sono rimasti impresse due facce opposte della stessa medaglia: "Sarajevo e la Grande Serbia". Da una parte il veterano bosniaco "sconosciuto incontrato per caso al cimitero sulla collina di Igman. I segni della guerra sul corpo, la reticenza a conversare, la sofferenza per la perdita dei figli. Non ha neppure voluto dirci i loro nomi, quasi a volerli proteggere". Dall'altra Malko Koroman, ex capo della polizia a Pale, la roccaforte serba sulle colline sopra Sarajevo. "Parcheggia l'auto di fronte all'ingresso del ristorante. Entra spavaldo in un luogo dove ancora lo temono, lo trattano con deferenza e ogni sua richiesta suona come un ordine - scrive Nina - Durante il pranzo ribadisce compulsivamente la sua innocenza, racconta la 'sua' verità sino a pontificare la negazione del genocidio" di Srebrenica dove 8mila musulmani sono stati passati per le armi dai serbo-bosniaci.

Marco Scano spiega che "ogni viaggio è preceduto da aspettative, ma posso dire, senza timore di smentita, che 'Destinazione

Sarajevo', le ha superate tutte. E non tanto, o comunque non solo, per la bellezza dei luoghi visitati. Ma per la consapevolezza che abbiamo acquisito". La pace apparente "perché le vecchie ferite non si sono ancora rimarginate".

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