
C'è un film-documentario dedicato a Milano, che ha rinunciato a presentarsi a Venezia e accetta la sfida di lasciarsi giudicare da Roma, iscrivendosi in concorso per la Festa del Cinema programmato a metà ottobre nell'Auditorium della Musica nella capitale. Gli autori in primis Luigi Crespi, Renato Farina e il maestro Davide Rampello hanno preso questa decisione in controtempo, proprio mentre furoreggia la campagna di discredito verso la metropoli ambrosiana. Non hanno scelto di percorrere il sentiero fresco e fiorito di platee milanesi simpatizzanti, o quello della mediazione paciosa per cavarsela offrendo tarallucci e vino in qualche benevolo circolo al Lido o sul lungo Tevere: la loro creatura filmica entra direttamente nel Colosseo delle belve indossando una veste che, nel suo candore, pare perfetta per eccitare le forbici assassine del Gotha cinefilo. La loro opera si intitola infatti Miracolo Milano, e li candida al martirio per sacrilegio.
Non c'è in realtà nessun intento di rivaleggiare con il capolavoro di De Sica e Zavattini o di farne il verso. Non c'è bisogno di essere geni dell'establishment de sinistra per capire che Miracolo a Milano (1951) dice tutt'altro, e cioè che solo un prodigio da fiaba può salvare da una metropoli ottusa e cieca. In questo documentario invece non ci si salva da Milano volandone via prodigiosamente a cavallo di scope fatate: il miracolo è Milano stessa, lo si sperimenta indossando Milano, accettandone il genius loci o daimon (lettura laica) o il «battesimo ambrosiano» e «la Madonnina» (lettura cristiana). Non si salta in cielo cavalcando un ombrello come Totò nel film progenitore del realismo magico di García Márquez, ma abbracciando il cielo con la forza dell'ingegno e del lavoro. Questo sono i grattacieli, che non devono spuntare isolati, ma radunati in bouquet, qua e là. Così li intese Gio Ponti (1891-1979), grande architetto e milanese, autore del grattacielo Pirelli, precursore di quelli del secolo in corso.
Milano è nata con questo dono: di dover lavorare per esistere. È lo stesso Gio Ponti a descrivere nel film gli dà voce Cochi Ponzoni - l'essenza meneghina: «Le altre città hanno delle colline, come Roma, come Firenze, come Torino, hanno il mare come Genova... Napoli ha il mare, le isole e pure il Vesuvio. Dio ha aiutato molto la bellezza di queste città, ma per Milano Dio non ha fatto niente, quindi sta a noi fare in modo che Milano sia una bella città: è una questione di creazione, ecco perché gli architetti che amano molto Milano e i milanesi non fanno che sognare di poter realizzare, di creare una bella città. Perché senza di loro e senza i milanesi Dio è assente». Ecco perché Milano deve rinascere da millenni ogni volta, salta su dalla sua caduta come un bocciolo, e i grattacieli, che adesso si chiamano torri, come nella Genesi, non sono il caos di Babele, ma un'armonia di bellezza multipla che cambia il disegno del cielo, e li trasformano a fianco del Duomo quali anticipo delle Prealpi.
Questo film si concentra sull'epopea successiva a Tangentopoli, e la si scopre come un'avventura che nessuno aveva mai raccontato, anche perché Milano non ha tempo di spiegarsi. Una riscossa che ha avuto due specie di protagonisti: i milanesi, con la loro energia, e a sorpresa la politica.
1) I milanesi, intesi come i chicchi del risotto che sono insieme distinti e mantecati tra loro, come li descrisse Guido Piovene nel suo Viaggio in Italia, prima per radio e poi in volume (1957). Una società dotata di un carattere misteriosamente unico. Chi la compone non acquisisce la cittadinanza per diritto di sangue, ma anche chi a Milano nasce è milanese per merito. Si diventa milanesi come esito di una trasformazione, di un ringiovanimento, che coinvolge tutti quelli che qui cercano di giocarsi nel lavoro i propri talenti: pugliesi, napoletani, toscani, emiliani. Si ritrovano milanesi senza perdere la memoria della loro origine. Questo è il miracolo fondativo di Milano. Lo conosco perché ha riguardato anche me: bergamasco fino al midollo, e milanese. Allo stesso modo, prima e più di me, Montanelli (di Fucecchio), Guareschi (di Parma), Marotta (di Napoli): e mi limito al giornalismo. Una storia antica e che si è ripetuta costantemente: Ambrogio (tedesco di cultura romana) e Agostino (africano di cultura greca).
2) La politica. In particolare due, ahimè dati per pensionati: Roberto Formigoni e Gabriele Albertini. Il «modello Milano», quello che ha fatto rifiorire la metropoli, lo hanno estratto loro dal corpo vivo della città, tramortito dalla caduta dei primi anni Novanta. A testimoniarlo non sono amici o compagni di partito, ma uno come il grande architetto Massimiliano Fuksas, romano e che più di sinistra non si può.
Il film, ancora inedito, ho potuto e voluto come si sarà capito - vederlo in anteprima. Mi piace chi marcia col vento in faccia, rischiando che qualche cretino gli tiri delle pietre. Avevo i titoli per esigere lo ius primae noctis: ho scritto la prefazione (anticipata su Il Giornale) all'eccellente libro omonimo di Renato Farina (Rizzoli, pagg. 224, euro 22, con foto splendide di Anna Crespi). Luigi Crespi ne ha tratto l'idea per realizzare un'opera cinematografica di qualità, regalando allo spettatore 70 minuti fluenti e nervosi, dotati dello stesso ritmo svelto di questa città, che sa anche commuoversi (el coeur de Milan). Sorprenderanno di questo docu-film (prodotto da ABGT e Proger e di cui Mediaset ha già acquisito i diritti) certi scorci dei quartieri rifioriti, esplosi verso l'alto come sequoie di mondi nuovi, e il mondo antico della Scala, che rigenerandosi ha assorbito con naturalezza tecnologie che la fanno essere il primo teatro del mondo. La figura straordinaria di fra Marcello Longhi appare improvvisa, nel film come nel libro, povero come i suoi poveri.
Fatti non teorie di quel ventennio favoloso, 1995-2015, che ha consentito a Milano di prendere la rincorsa verso Expo - sindaci Letizia Moratti e Beppe Sala, con governatore Attilio Fontana - portandola in cima alle graduatorie internazionali: è amata e desiderata in tutto l'orbe terracqueo. Tutto? Sì, a parte il resto d'Italia. Abbacina i forestieri, invece tra i compatrioti è guardata male. Se la metropoli inciampa in uno scandalo, tre quarti degli italiani sono felici.
Questa antipatia nasce non solo per invidia altrui. Ma per colpa dei milanesi.
Non hanno mai saputo o voluto raccontare la loro città, fermarsi un attimo per guardarla, studiarla e raccontarne senza spocchia non una grande bellezza inarrivabile, ma l'arte di tirarsi su, e salire insieme più in alto di prima, dopo cadute che paiono definitive. Il «Modello Milano» non è rappresentato dalle eventuali furbate di quattro lazzaroni. Più che in Procura se ne trova traccia in Miracolo Milano.