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Milioni di spettatori in tutto il mondo hanno visto in lui la «faccia buona dell'America», l'uomo che pur avendo paura affronta comunque il suo destino. Come lo sceriffo Willy Kane che, pur fresco di matrimonio, affronta a viso aperto Frank Miller e i suoi assassini. Memorabile la scena in cui esce dal suo ufficio, si guarda attorno smarrito, si deterge il sudore dalla fronte mentre la camera si allarga in un campo lungo che inquadra la strada deserta. Fu una prova memorabile che frutto nel 1953 a Gary Cooper il secondo Oscar come miglior attore protagonista, dopo quello di dieci anni prima per un altro pellicola culto, «Il sergente York». Altri dieci anni di carriera poi la scomparsa il 13 maggio 1961, esattamente cinquant'anni fa, ucciso da un cancro alla prostata. Un mese prima aveva ricevuto l'Oscar alla carriera.
La morte lo colse comunque all'apice della popolarità e non poteva essere altrimenti vista la popolarità che ha sempre circondato questo personaggio tanto bravo e versatile, quanto schivo e lontano dallo stereotipo del divo. Memorabile per il pubblico italiano la sua partecipazione al «Musichiere» in cui scherzò come un vecchio amico con Mario Riva. Anche per questo, fu uno dei pochi attori che, grazie alle sue qualità artistiche e il suo recitare estremamente attuale, riuscì a passare dal muto al sonoro. Figlio di un proprietario terriero inglese diventato poi avvocato e giudice negli Stati Uniti, Frank James Cooper, in arte «Gary», dal nome della città omonima nello stato dell'Indiana, che doveva evocare lo stile «duro e puro» del luogo, nacque il 7 maggio 1901 a Helena, nello stato americano del Montana.
Cooper ricevette una rigorosa formazione in Inghilterra, dove visse con la madre Alice Brazier fino al 1914, quando rimase ferito all'anca in un incidente automobilistico. Per ristabilirsi, tornò ad abitare in Montana con il padre nel ranch di famiglia, dove imparò a cavalcare. La sua strada sembrava avviata agli studi presso il Grinnell College in Iowa, ma Cooper voleva diventare disegnatore e caricaturista politico, così partì alla volta di Los Angeles. «Sono diventato attore solo per sbarcare il lunario, dopo aver fallito come disegnatore e caricaturista politico. Era questa infatti la mia vera ed unica vocazione giovanile».
«Coop», come lo chiamavano gli amici, ebbe relazioni sentimentali profonde con attrici come Clara Bow e Lupe Velez, e con la contessa italo-americana Carla Dentice di Frasso, al secolo Dorothy Caldwell Taylor, ex moglie dell'aviatore inglese Claude Grahame-White. Cooper nel 1933 sposò Veronica Balfe, un'esponente dell'alta società newyorkese nonché nipote dello scenografo Cedric Gibbons, che aveva lavorato brevemente come attrice sotto il nome di Sandra Shaw. Ebbero una figlia, Maria, nata nel 1937. Durante il matrimonio, che durò fino alla morte di lui, a Cooper vennero attribuiti flirt con diverse co-protagoniste dei suoi film, incluse Ingrid Bergman, Audrey Hepburn, Grace Kelly e Patricia Neal.
Alla mecca del cinema Cooper passò, appunto per mantenersi, a un lavoro a un altro finché nel 1926, dopo aver girato come comparsa una cinquantina di film western muti, ebbe una piccola parte in «Sabbie ardenti/La rivincita di Barbara Worth» di Henry King. Ebbe inizio così la sua folgorante carriera, durante la quale avrebbe interpretato oltre 100 titoli. In «Sabbie ardenti», Gary Cooper interpreta per la prima volta il suo classico personaggio di uomo leale e coraggioso, sorretto da una limpidissima fede nella giustizia e deciso a farla trionfare a qualsiasi prezzo.
Nel 1936 interpretò la commedia «È arrivata la felicita» di Frank Capra, che gli valse la prima nomination agli Oscar come miglior attore protagonista. Gli anni Quaranta furono il periodo di maggior successo per l'attore americano che nel 1942 vinse il suo primo premio Oscar per «Il sergente York» di Howard Hawks. Nei due anni successivi Cooper ricevette altra nomination nel 1942 per «L'idolo delle folle» (1942) di Sam Wood, biografia del giocatore di baseball Lou Gehrig, il cui nome viene associato alla sclerosi laterale amiotrofica, malattia neurologica che lo uccise nel 1941 a 38 anni, nota anche come «Morbo di Lou Gehrig». L'anno successivo torno in corsa con «Per chi suona la campana», ancora di Wood, dal romanzo di Ernest Hemingway, seconda interpretazione di un pellicola tratta da un libro del grande romanziere americano, dopo «Addio alle armi» di Frank Borzage nel 1932. Quell'anno conobbe e divenne intimo amico del premio Nobel per la Letteratura, con il quale divideva la grande passione per la caccia. Ormai divo di statura internazionale, Cooper amava tuttavia il nostro Paese che visita nel primo dopoguerra, in particolare recandosi a Mignano di Montelungo, vicino Cassino, per incontrare la bambina Raffaella Gravina che aveva adottato a distanza attraverso il «Foster Parents Plan», nel programma americano d'assistenza ai «war children». Tornato a Napoli si sente male. «Vedi Napoli e poi muori» è il suo ironico commento. Diversi anni dopo, di nuovo in Italia, sarà ospite della nota trasmissione del sabato sera «Il Musichiere» protagonista di un indimenticabile duetto con Mario Riva.
Nel 1953 Cooper vinse un secondo Oscar per la sua memorabile interpretazione dello sceriffo Will Kane in «Mezzogiorno di fuoco» di Fred Zinnemann, il suo ruolo più ricordato e forse la sua migliore interpretazione. Il 17 aprile 1961 il «Collegio dei Governatori» gli assegnò l'Oscar alla Carriera. Dopo essersi convertito alla religione cattolica, Gary Cooper morì di cancro il 13 maggio e fu sepolto nel cimitero Sacred Heart Cemetery a Southampton nello stato di New York.
In occasione dei 50 anni dalla sua morte, in questi giorni Studio Universal (in onda sul digitale terreste di Mediaset Premium) ha proposto un ciclo in onda ogni lunedì alle ore 21.
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