Cinque colpi per giustiziare il medico che combatteva la mafia della sanità

Un messaggio contro chi voleva razionalizzare il sistema degli appalti ospedalieri. Nella Locride 323 piccoli attentati negli ultimi 18 mesi

Cinque colpi per giustiziare il medico che combatteva la mafia della sanità

Luciano Gulli

nostro inviato a Reggio Calabria

Una «gazzella» dei carabinieri piantata all’ingresso del vialetto che dà accesso all’«Aeroporto dello Stretto», con un milite che dondola stancamente la paletta in direzione di un ambulante abusivo che vende carciofi. E una «pantera» della polizia un po’ più in là, all’imbocco della superstrada che unisce Reggio alla Locride, murata viva (la «pantera») da centinaia di automezzi che barriscono insieme nel tentativo di guadagnarsi un minimo di spazio vitale per andare a intasare compostamente la mitica «106». Non si dica che lo Stato non c’è, quando c’è da mostrare i muscoli. Dall’aeroporto fino al centro della città neppure un vigile urbano, però; niente sirene, niente lampeggianti, nessun posto di blocco. Saranno tutti in borghese, uno pensa, visto che in Calabria, stando a dati pubblicati di fresco, sono all’opera notte e giorno 12.795 uomini addetti a contrastare la ’ndrangheta. Qualcosa come il 6,4 per cento ogni mille abitanti, contro il 4,1 per cento in Campania e il 5,4 in Sicilia.
Dell’assassino e dei mandanti che hanno votato la morte di Francesco Fortugno, vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria, nonostante il formidabile dispiego di mezzi, nessuna traccia. Solo idee, ipotesi, congetture. E un filo conduttore che pare portare dritto agli interessi delle ndrine nel settore della Sanità. Dava noia, Francesco Fortugno. Dava noia quella sua smania di mettere il naso ovunque ballassero capitoli di spesa. Dava noia quella sua mania, sbandierata ad ogni convegno, ad ogni riunione con i rappresentanti della politica regionale e degli enti locali, di razionalizzare, potare, sveltire, modernizzare una macchina sanitaria che ingoia il flusso maggiore di spesa della Regione. E restituisce servizi davanti ai quali il cittadino che abbia a cuore la sua salute e agogni a un minimo di decenza, sotto il profilo per così dire «alberghiero», si imbarca sul primo volo in partenza per Roma o Milano o Bologna. Sempre a spese della Regione, si capisce.
Appalti, forniture di materiale sanitario, gestione delle strutture sanitarie convenzionate. Non c’è settore della sanità pubblica in cui la criminalità organizzata, attenta negli ultimi anni ad abbassare il livello degli scontri intestini per allontanare da sé i riflettori degli inquirenti e dei media, non abbia messo il becco. A poco, come era prevedibile, sono servite le misure cautelari dispiegate dagli uffici regionali per allontanare il contagio. Un certificato antimafia non si nega a nessuno. E un prestanome, se il titolare di un’azienda decisa a entrare nel «ramo» ha un passato non propriamente specchiato: be’, che ci vuole a trovare un prestanome che garantisca con una fedina penale più linda di quella di un frate che tutto è in regola?
Fortugno, che prima di entrare in politica era stato primario all’ospedale di Locri (di cui la moglie Maria Grazia Laganà è direttore sanitario) quel mondo lo conosceva bene, dall’interno. E da tempo si era messo in testa che la Calabria, almeno sotto il profilo che gli stava più a cuore, quello della Sanità, potesse voltare pagina.
Chi forse potrà mettere gli investigatori sulla strada giusta, quando si sarà ripresa dallo choc, è la moglie della vittima, Maria Grazia Laganà. È medico anche lei, è a capo di una struttura ospedaliera. Sa come funziona quel mondo. Sa, forse sa, in che cosa suo marito può aver scontentato chi detiene il potere vero in questa fetta di Calabria. Ieri, la signora Maria Grazia ha passato la giornata a piangere e a stringere la mano dei molti, dei moltissimi cittadini che sono andati a porgerle le condoglianze. Nessuna parola, da parte sua. Per lei parla il vescovo, monsignor Giancarlo Bregantini. «La mafia - dice monsignore - vuole spezzare il rapporto tra la politica e la gente. L’unico antidoto è dare stima e offrire vicinanza alla classe politica. Ma tocca anche alla società civile stringersi in un cerchio vitale, come avvenne in Sicilia dopo gli omicidi di Falcone e Borsellino». Preghiere, fiaccolate, digiuni «per tenere allertate le coscienze». Va tutto bene. Ma il vescovo di Locri chiede soprattutto «indagini intelligenti», affidate alla Guardia di Finanza. «Perché il gioco è politico, ma soprattutto economico».
Parleranno forse i sindaci della Locride, che a metà settembre si erano incontrati in Prefettura, a Reggio, per denunciare lo strapotere dei mafiosi sui loro territori. Trecentoventitré «atti intimidatori» registrati negli ultimi 18 mesi contro imprenditori, sindaci, poliziotti, carabinieri, dicono che la ’ndrangheta ha ultimamente deciso di uscire da quel cono d’ombra in cui si era volontariamente cacciata. L’avvertimento per i politici, con le elezioni a un passo, non poteva essere più chiaro.

Ammazzarne uno, uno bello in vista, in un giorno in cui la Politica occupava la scena, deve essere parso ai signori della Jonica la lezione migliore da impartire ai signori dei voti; soprattutto ora che sullo sfondo si profila il grande, magnifico, lussureggiante banchetto che si allestirà intorno al Ponte sullo Stretto.

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