Vernazza (La Spezia) In Prefettura ci va, perché è il suo dovere di vicesindaco. Perché il sindaco di Vernazza, il comune forse più colpito, è rimasto in strada a spalare e tocca a lui cambiarsi il maglione per andare a incontrare le autorità. Ma Gerolamo Leonardini ha solo l’obiettivo di far presto. Accetta a fatica di raccontare la situazione che ha lasciato a casa. «Scene che non avrei mai pensato di vedere - tenta di dire qualcosa - È tutto coperto dai detriti fino al primo piano». Prende fiato, sospira. Ci riprova: «Non c’è luce, non c’è acqua, il telefono non funziona.
È un chilometro di fango dall’inizio del paese fino al mare». Poi non ce la fa più: «Come fare a ripartire...?» Cede e piange. Abbassa la testa il vicesindaco, singhiozza, e riesce solo a darsi un imperativo: «Siamo noi amministratori che dobbiamo dare l’esempio». Ma la voce ormai non c’è più.
Gerolamo Leonardini è il simbolo di quei paesi che non hanno voglia di parole, dopo aver visto cancellare dal fango i loro borghi. Pensano a quelle cartoline famose nel mondo che non saranno più le stesse dopo l’alluvione che ha devastato le Cinque Terre, i borghi incantati della Liguria.
Il giorno dopo, nel levante ligure per fortuna arriva il sole. Eppure c’è persino chi preferirebbe ancora tenere gli occhi chiusi, per far finta che l’incubo debba ancora finire. La luce invece è impietosa, regala tutte le sfumature del marrone che cambia persino il sapore del mare. I telefoni sono muti, la corrente elettrica non c’è. I black out impediscono ai soccorritori e agli stessi abitanti di fare qualcosa di efficace per far riaffiorare dal fango ogni particolare utile a ricordare che Vernazza, Monterosso, le Cinque Terre, là sotto ci sono ancora. Ma la corrente che tarda a tornare nega, a chi è costretto a fermarsi qualche ora per riprendere fiato, anche la possibilità di sentire il mondo che vive in diretta il disastro e prova ad aiutare chi ha perso tutto.
Su internet rimbalzano i messaggi di tanti turisti che hanno visitato quegli scorci d’inferno quando erano ancora un paradiso. Gli stranieri cercano foto, si scambiano commenti increduli su facebook. Le coppiette che si sono giurate fedeltà sulla Via dell’Amore ricordano le «loro» Cinque Terre. È un tam tam che supera la normale partecipazione a un evento catastrofico. I siti tutelati dall’Unesco come patrimonio dell’umanità, a vederli oggi, sembrano surreali. Così come Monterosso, il paesino che ha ispirato Montale, è tutt’altro che poetico, visto all’indomani della piena che lo spazzato via.
Nelle parole degli stessi amministratori c’è tutta la realtà di questi giorni. «Qui manca tutto, viveri, acqua, energia elettrica. La gente entra nelle case passando dai terrazzi, è tutto allagato. Abbiamo anche un volontario disperso. Monterosso non c’è più», ripete instancabile Angelo Betta, il sindaco di Monterosso. Le case sono danneggiate e invase dal fango, ma ci sono. I negozi e i locali dovranno buttare tutto quello che avevano in magazzino, ma riapriranno. Monterosso però «non c’è più». Perché oggi, guardando la monotonia della fiume che scorre al posto delle macchine, non c’è più quel paese che vive di turismo. Perché quest’estate, quando certamente tutto sarà stato ripulito, le macchine fotografiche dei giapponesi andranno alla ricerca di qualche cicatrice lasciata dall’alluvione. E perché sono cambiati gli abitanti di Monterosso, che si sono visti portare via il «loro» paese.
Torneranno, forse la settimana prossima, i treni. Torneranno anche i turisti e i sorrisi. Ma quando tornerà la pioggia, non tornerà più uguale a prima. Scenderà su un paese che non sarà più lo stesso Monterosso di prima.
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