Roma

Cioccolata calda: la felicità in una tazza

Dimenticando per un po’ la bilancia, storia e segreti di una bevanda golosissima e tipicamente invernale. Con panna o senza

Chiara Cirillo

Se per Nanni Moretti nel film «Bianca il cacao è un antidoto all’insoddisfazione esistenziale a cui attingere nei momenti di sconforto, in «Chocolat», la pellicola del 2001 tratta dall’omonimo romanzo di Joanne Harris, una cioccolataia interpretata dalla splendida Juliette Binoche, con le sue prelibatezze di cioccolato riporta in un paesino sperduto serenità, amore e piacere di vivere. E ancora: chi non ricorda lo spaventato E.T., l’extraterrestre dell’omonimo film di Steven Spielberg che arriva al garage di Elliot seguendo una pista di cioccolatini? E la signora Evelyn (Kate Bates) che nella commedia «Pomodori verdi fritti...», sgranocchia cioccolato tutto il giorno e, piangendo confessa alla signora Tredgegood la sua infelicità?
Molto spesso la filmografia e la bibliografia nostrana e internazionale ha attinto al cioccolato per excursus filosofici a metà tra omaggio e verità. Ed è così anche nella vita reale: del cioccolato non si può fare a meno. Con il freddo di questi giorni poi, come negarsi una tazza di cioccolata calda? Eletta all'unanimità a simbolo della dolcezza del vivere e dell’appagamento del gusto, regala un piacevole senso di calore, anche fisico con tre semplici ingredienti: latte, cacao e zucchero. È vero, le calorie sono tante e la bilancia piange. Ma meglio lei che noi, non trovate?
Ma tornando un po’ indietro nel tempo, agli albori del diciassettesimo secolo, quando fu inventata, la ricetta della cioccolata non era così. Era una miscela di cacao, acqua, vino e vari tipi di spezie. È soltanto molto tempo dopo la scoperta, che gli spagnoli - importatori di cacao dal nuovo continente - hanno cominciato a riscaldarla e a dolcificarla con lo zucchero. È invece grazie ai Britanni che il latte si sostituì all’acqua per dar vita alla vera «hot chocolate», in versione moderna. Il boom arriverà nel diciottesimo secolo, quando nel Regno Unito nacquero le prime «Chocolate houses», celebri almeno quanto le sale da tè. Manco a dirlo, fu proprio nella capitale londinese che nacque la prima Casa del Cioccolato: era il 1657. Se ai britanni dobbiamo lo scambio tra acqua e latte, agli americani siamo invece grati per aver pensato alla panna. Sono loro i fautori di questo dolcissimo connubio. Certo, ancor più calorica, ma oggi è impensabile immaginare una tazza di cioccolata calda senza un tocco di panna.
Tutto italiano è invece il termine «cioccolata calda», coniato recentemente perché quando si diffusero le tavolette bisognava distinguere la cioccolata liquida dalla solida. Oggi, la fantasia dei baristi non si ferma ai tre ingredienti di base: dal miele al caffè, dal caramello alla crema, dai cereali alle noccioline, tutto può essere aggiunto. All’Enoteca il Piccolo (via del Governo Vecchio 74, tel. 066789792), ci svelano anche il segreto affinché l’aroma del cioccolato rimanga intatto: non portare mai a bollore il latte. Qui, tra i vari tipi che preparano la più gettonata è quella corretta con una lacrima di rhum. Da Ciòccolati (via Marianna Dionigi 36, tel. 0636006165) la si prepara ancora come una volta: «La tavoletta di cioccolata va tagliata a scaglie e riscaldata a fuoco basso in un pentolino con un po’ di latte tiepido - ci spiega Eleonora -; quando si è ammorbidita, va tolta dal fuoco e, con l’aiuto di un cucchiaio di legno, amalgamata bene fino ad ottenere una pasta soffice. Si aggiunge poi il latte caldo a cucchiai in modo da scioglierla bene e - qui sta il trucco - va versata tutta in una volta. Il tutto da speziare a piacere». Ad esempio? «Con cannella, zenzero, cardamomo, peperoncino, vaniglia anice, arancia, chiodi di garofano».

Cioccolato fondente o al latte? «Non c’è una regola, quella che ci piace di più».

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