Circolo filologico da 135 anni parla meneghino

Se qualcuno pensa che fra l’antico quanto ermetico sanscrito e il vernacolo ambrosiano non vi sia niente in comune, si sbaglia di grosso. Il punto d’incontro esiste ed è a Milano, in via Clerici 10, da ben 135 anni. Proprio in quello splendido palazzo Liberty il Circolo filologico milanese persegue la vocazione storica di divulgare lo studio delle lingue. Furono il conte Emilio Borromeo ed Eugenio Torelli Viollier, l’intellettuale napoletano che quattro anni dopo sarà anche l’ideatore e direttore del Corriere della Sera, a fondare nel 1872 quel Circolo Filologico che conterà tra i suoi sostenitori e collaboratori personaggi della statura di Carlo Emilio Gadda, Giuseppe Giacosa, Gaetano Salvemini, Achille Ratti (poi Papa Pio X), Indro Montanelli e Carlo Castellaneta, per citarne solo alcuni. Fra i soci, anche un giovane Silvio Berlusconi che alla fine degli anni Sessanta, con una lettera ancora conservata in segreteria, giustificherà le sue assenze per i crescenti impegni di lavoro. Davanti alle austere pareti del Circolo, foderate da 130 mila volumi con rare “cinquecentine” e codici Giustinianei che raccontano la storia dell’umanità, viene spontaneo parlare con voce sommessa. «Sono purtroppo sconosciute a molti milanesi le opportunità che quotidianamente offre questa prestigiosa istituzione divenuta ente morale nel 1905», dicono il presidente del Circolo Valerio Premuroso, il segretario Luigi Margutti e il tesoriere Alberto Vandelli.
Dagli ormai consueti corsi di lingue moderne europee l'insegnamento si estende all’arabo e al cinese, che hanno registrato un balzo fino a oltre ottanta iscritti nell’ultimo biennio.

E ancora, giapponese, latino, greco classico, ebraico e persino quell’enigmatico sanscrito di origine ìndica. Oltre al caro e vecchio “meneghino” che in questo modo non rischia l’estinzione. A testimoniarlo sono lì, in bella vista, i Quattro Vangeli tradotti in vernacolo ambrosiano, con tanto di encomio della Curia.

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