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È morto l'ex premier De Mita, il diccì che non si fece rottamare

Si è spento all'età di 94 anni Ciriaco De Mita, 66 anni passati dentro la Democrazia Cristiana da militante e da segretario, poi l'ingresso nel Pd e una carriera politica finita da sindaco di Nusco, sua città natale, tra le fila dell'Udc

È morto Ciriaco De Mita, il diccì che non si fece rottamare

Con Ciriaco De Mita se ne va un altro pezzo di storia della Democrazia Cristiana. Un uomo che ha fatto della sua città natale, Nusco, il suo feudo elettorale e dove ricopriva la carica di sindaco dal 2014.

Il 'basista' De Mita entra in Parlamento

L’attività politica di De Mita inizia però nel 1963 quando all’età di 35 anni entra in Parlamento tra le file della sinistra “di Base”, corrente della Dc fondata da Enrico Mattei e da Giovanni Marcora. Un anno dopo, dentro la ‘balena bianca’ si consuma una lotta intestina per l’elezione del nuovo capo dello Stato. Da una parte ‘la destra’ del partito sostiene Giovanni Leone quale candidato ufficiale, da ‘sinistra’, invece, spunta la candidatura di Amintore Fanfani e ‘i franchi tiratori’ prendono il sopravvento. Alla fine venne eletto il socialdemocratico Giuseppe Saragat e Leone ricorderà sempre che, all’epoca, due capicorrente ribelli come Donat Cattin e De Mita “si facevano pubblico vanto di non avermi votato” e perciò furono temporaneamente sospesi dalla Dc per “atti di rilevante indisciplina politica”.

La 'rottamazione' di San Genesio

Ma è nel 1969 che l’attivismo di De Mita si fa sempre più fervente. Assume l’incarico di sottosegretario del ministero dell’Interno nel primo governo di Mariano Rumor e lancia la proposta di un patto costituzionale col Pc, antesignano del compromesso storico. A fine settembre promuove il convegno di San Genesio, a pochi chilometri da Macerata, dove stipula, insieme ad Arnaldo Forlani, il “patto dei quarantenni” per ‘rottamare’ Aldo Moro e Amintore Fanfani e contendersi loro la leadership del partito, come, poi, avverrà negli anni successivi. Moro, riguardo a tale progetto, disse: “L’onorevole De Mita sembra avere l’idea fissa di emarginare Fanfani e me. Potrei ringraziarlo a nome della mia famiglia. Ma le persone valgono non per quello che hanno ma per quello che sono”. Il ‘patto di San Genesio”, malgrado le parole di Moro, dà i suoi frutti e, sempre nel 1969, Forlani assume la carica di segretario del partito e De Mita quella di vicesegretario fino al 1973.

Negli anni ’70 assume la guida di più dicasteri: prima ministro dell’Industria, poi del commercio con l’estero e, infine, quello per il Mezzogiorno. È in questi anni che De Mita fa dell’Irpinia il suo feudo elettorale, scalzando dal ruolo di ‘ras locale’ della Dc, il ministro Fiorentino Sullo, cui sua moglie faceva da segretaria. La rottura tra i due esponenti della sinistra democristiana porta Sullo alle dimissioni da ministro e all’abbandono del partito. Una decisione che consente a De Mita di ottenere più di 100mila preferenze alle Politiche del 1976 e prendersi la rivincita nei confronti di quel Sullo che nel 1958 gli fece mancare i voti per entrare in Parlamento.

De Mita segretario Dc e presidente del Consiglio

Gli anni ’80 decretano la consacrazione definitiva di De Mita che nel 1982 viene eletto segretario della Dc con il 57% dei voti contro il 43% ottenuto da Forlani, sostenuto dalla ‘destra’ del partito. Una vittoria che dà la possibilità agli ‘irpiniani’ Nicola Mancino e Gerardo Bianco di calcare la politica nazionale e ai giornalisti come Gigi Marzullo e Francesco Pionati di entrare in Rai. Un giovanissimo Clemente Mastella diventa portaborse del segretario De Mita il quale ‘lancia’ anche Romano Prodi nominandolo presidente dell’Iri.

Appena eletto, De Mita, nel suo primo intervento, spiega la sua strategia politica. È arrivato il momento di accettare il fatto che l’epoca del compromesso storico è finita e si deve cercare una sponda verso il Psi di Bettino Craxi. È la nascita del ‘pentapartito’ che, però, inizialmente viene maldigerito dall’elettorato democristiano tanto che le Politiche del 1983 segnano un calo di 5 punti per la Dc che si ferma al 32,9%. De Mita stipula il ‘patto della staffetta’ con Craxi che prevede che il secondo, a metà legislatura, lasci Palazzo Chigi in favore del primo. Il segretario socialista, arrivati al dunque, si rifiuta di cedere la poltrona di primo ministro e si apre una crisi che porta il Paese alle elezioni anticipate del 1987 e l’anno successivo De Mita diventa il primo politico diccì a coprire sia la carica di segretario Dc sia quella di capo del governo. Nel 1988 scoppia il caso ‘Irpiniagate’ dopo che il Giornale pubblica un’inchiesta sulla gestione dei fondi destinati alle popolazioni del terremoto del 1980 e De Mita querela il direttore Indro Montanelli per un editoriale in cui veniva definito “il padrino”. La risposta viene affidata a un ‘Controcorrente’ in cui Montanelli scrive: "Di rischi gravi, questa querela ne comporta uno solo: che De Mita la ritiri”.

La svolta anti-berlusconiana e l'ultima battaglia contro la riforma costituzionale

Nel 1989 De Mita, nel corso del 18esimo Congresso del partito, lascia la segreteria della Dc che viene affidata ad Arnaldo Forlani e, grazie all’amnistia del 1990, non verrà sfiorato dall’inchiesta Tangentopoli. Nella sua relazione finale di quel Congresso, De Mita tratta temi ancora attualissimi: dalla riforma costituzionale del bicameralismo perfetto alla modifica del sistema elettorale, con la Dc divisa tra ‘proporzionalisti e uninominalisti’. Nel 1990, De Mita si schiera contro il voto di fiducia sulla legge Mammì e costringe i ministri della sinistra Dc (tra cui c’era anche Sergio Mattarella) a dimettersi. In quei giorni dichiarò al giornale di partito ‘Il Popolo’ di non essere “né a favore né contro Berlusconi. Per la democrazia però è rischioso che gli strumenti di comunicazione siano in mano a una sola persona”.

Era chiaro quale percorso politico avrebbe seguito il leader dei ‘basisti’ nella Seconda Repubblica. Prima Ppi, poi la Margherita e, infine, il Pd dove resterà fino al 2008 quando l’allora segretario Walter Veltroni decide di non ricandidarlo e lui passa con l’Udc. Una scelta che Matteo Renzi gli rinfaccerà nel corso del dibattito sul referendum costituzionale del 2016 avvenuto durante uno speciale di Enrico Mentana su La7. Renzi, che in gioventù fu proprio immortalato in una celebre foto in compagnia di De Mita, gli dirà:“La tua idea di politica è che cambi partito quando non ti danno un seggio”, dimenticandosi che, in occasione delle Regionali 2015, proprio il voltafaccia dell'ex segretario della Dc aveva permesso a Vincenzo De Luca di battere il presidente uscente Raffaele Caldoro, sostenuto da De Mita fino al giorno prima della chiusura delle liste. Battere "il maestro" sul terreno della coerenza non è un'impresa facile nemmeno per un allievo come Renzi che, nemmeno in quel dibattito televisivo, riuscirà a prevalere sullo scaltro ex democristiano. De Mita replicherà con fermezza:“Questa è una volgarità che non mi aspettavo soprattutto se detta da chi in politica le ha inventate tutte. Tu non hai diritto di parlare di moralità della politica. È un mestiere che vuoi gestire in maniera autoritaria”. Negli ultimi anni aveva tenuto un profilo defilato e, anche per il sopravanzare dell'età, aveva smesso di occuparsi della politica nazionale.

Il 10 aprile scorso era stato ricoverato al Moscati di Avellino per un attacco ischemico e, una volta ripresosi, era tornato a Villa dei Pini, la clinica di riabilitazione del capoluogo irpino dove De Mita si è spento stanotte e dove si trovava da quando, qualche mese fa, era stato operato al femore.

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