Cirio, l’accusa picchia duro: 15 anni Cragnotti, 8 Geronzi

Ci sono voluti più di sette anni perché il «caso Cirio» - fratello minore dell’affare Parmalat - arrivasse alla sua conclusione giudiziaria. Ieri la Procura di Roma conclude il suo lavoro: al termine del processo per il crac del grande gruppo alimentare, i pubblici ministeri presentano le loro richieste di pena. E sono richieste pesanti: per Sergio Cragnotti, numero uno di Cirio, vengono chiesti 15 anni di carcere per bancarotta fraudolenta; per il più illustre dei suoi coimputati, l’attuale presidente delle Generali Cesare Geronzi, il pm Gustavo De Marinis chiede otto anni. E poi raffiche di condanne vengono chieste per imputati conosciuti o ignoti ai più, tutti accusati di avere in qualche modo collaborato a spingere sino alle estreme conseguenze il castello di trucchi finanziari che tenne in vita Cirio negli ultimi anni, fino al crac da un miliardo di euro. Tra essi, Gian Piero Fiorani, ex ad della Popolare di Lodi e oggi ospite pressocchè fisso dei processi a quella infausta stagione della nostra economia.
Inevitabile che l’eco maggiore, della requisitoria del pm, sia per gli otto anni proposti per Geronzi: anche perchè arrivano in una fase non facile della vita delle Generali, animata da polemiche e attacchi che proprio nella imminente conclusione del processo potrebbero avere colto l’attimo propizio a scatenarsi. Oltretutto, per il presidente della compagnia i pm invocano anche una pena accessoria che, se venisse accolta, renderebbe problematica la sua permanenza in carica: oltre agli otto anni per concorso in bancarotta la Procura chiede che sia dichiarata a carico di Cragnotti e Geronzi la loro «incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa» per dieci anni. A Geronzi, sostanzialmente, la Procura attribuisce - nella sua qualità, all’epoca dei fatti, di presidente di Banca di Roma - la responsabilità dei finanziamenti concessi a Cragnotti anche nella fase finale della sua avventura imprenditoriale, quando l'istituto di credito conosceva (o poteva conoscere) lo stato reale del gruppo. Ma di quel disastro ieri i legali di Geronzi - commentando la requisitoria - attribuiscono per intero le colpe a Cragnotti e alle sue «incontrollate aspirazioni».
Di fronte all’asprezza delle richieste dei pm, i due avvocati del presidente delle Generali, Paola Severino e Ennio Amodio, parlano senza mezzi termini di «implausibili presunzioni contenute in una requisitoria generica e immotivata»; mentre in serata fonti a lui vicine fanno sapere che Geronzi «nel rispetto dell'autorità giudiziaria, confida pienamente in una decisione del collegio giudicante» ricordando che tutte le volte che la sua condotta è stata al vaglio dei giudici «è sempre risultata corretta».
Nella sua requisitoria, De Marinis aveva spiegato che «non possono essere concesse le attenuanti generiche a nessuno degli imputati, perché quelli commessi sono stati fatti gravissimi, ma anche perché non c’è stato alcun segno fornito nel corso di questo processo». A causa della mancata collaborazione degli imputati, la sorte di buona parte dei quattrini spariti dalle casse di Cirio nel valzer delle operazioni infragruppo continua, sostiene la Procura, a essere un giallo: «La ricostruzione di tali operazioni è impedita dalla indisponibilità della documentazione contabile integrale di gran parte delle società, spesso collocate in località estere off shore.

Ne segue che sia la realtà delle operazioni finanziarie, sia la destinazione delle somme trasferite a tali società, sia infine la gestione e la sorte dei crediti come sopra generati, resta misteriosa e non ricostruibile in termini di certezza». Ora la parola alle difese. Sentenza forse in estate.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica