Le città delle ribellioni

Dopo tante interpretazioni politiche, sociologiche, religiose delle rivolte nelle periferie di Parigi, non credo sia sbagliato aggiungere anche una considerazione sull’idea di città che favorisce quelle ribellioni. Non credo sia sbagliato, sia perché è proprio il modo in cui è pensata una città il primo fattore di integrazione o disgregazione di una comunità, sia perché spesso sento fare ragionamenti sulla riorganizzazione amministrativa delle nostre metropoli che potrebbe essere catastrofica.
Le rivolte di Parigi, che solo per emulazione si sono diffuse in altre città francesi, sono il risultato di un presuntuoso centralismo amministrativo che ha radici lontane, e che sarebbe bene non dimenticare per non costruire delle polveriere dove si possono accendere facilmente molte micce.
Iniziamo da questa constatazione: l’idea di metropoli così come si era formata nei primi decenni del Novecento, è fallita. Ma non abbiamo nulla di meglio che l’abbia sostituita. Era un’idea legata all’utopia dell’inarrestabile progresso della società, del suo sviluppo organico, della costituzione di modelli abitativi che avrebbero favorito la comunicazione, l’incontro e, infine, l’emancipazione economica e culturale delle persone.
Un’idea di metropoli che, a grandi linee, è social comunista; e non è un caso che la stragrande maggioranza degli architetti e degli urbanisti di tutto il mondo siano stati e siano di sinistra. Neppure un caso che i pochi architetti che hanno rifiutato quel modello urbano siano stati, e siano tuttora, considerati dei reazionari.
Quando in Inghilterra e poi in Francia verso la metà dell’Ottocento inizia quel grande sviluppo industriale che richiama dalle campagne in città un numero sempre maggiore di persone in cerca di lavoro nelle fabbriche, si pone il problema di dove sistemarle. Il problema, in realtà, si risolve da solo: ai bordi della città, dove finisce l’urbanizzazione e inizia la campagna i lavoratori si costruiscono le baracche dove sopravvivere con la propria famiglia. Le «periferie» incominciano a formarsi così. Sono ghetti, dove può succedere di tutto. Tant’è vero che le prime grandi rivolte proletarie che incendiano Parigi a metà dell’Ottocento nascono da quei ghetti e che per cercare di disinnescare altre possibili ribellioni si sia pensato di ridisegnare l’assetto urbano di Parigi. L’idea guida di questo progetto era quella di poter rapidamente raggiungere da ogni parte del centro cittadino le periferie per sedare militarmente le rivolte. L’architetto a cui fu affidato il compito di trasformare la pianta di Parigi fu il barone Haussmann, e la realizzazione del suo intervento urbano è quella che ancora oggi possiamo vedere. Da un punto centrale, rappresentato dall’Arco di Trionfo, si dipartono dodici grandi viali che consentono di raggiungere rapidamente ogni luogo periferico anche con attrezzature militari.
Accanto a questa Parigi monumentale, si riorganizzava l’assetto abitativo delle periferie seguendo una concezione socialista che progettava enormi edifici per consentire agli operai di vivere insieme, di discutere, di confrontarsi... insomma di far crescere la loro coscienza di classe. Un esempio, il più celebre è il Karl Marx Hof di Vienna, grande formicaio nella periferia della città che è il progenitore dei mostri edilizi contemporanei come il Corviale a Roma, il quartiere Zen di Palermo, il Paradiso di Brindisi ecc. ecc. Questi luoghi del disastro edilizio, dell’originario fallimento di un’idea social comunista dello sviluppo della città viene fatto pagare alle figure più deboli della comunità.
Tuttavia c’è un modo per affrontare almeno da un punto di vista amministrativo il degrado delle periferie. La Francia, Parigi, è l’esempio da non imitare. Il suo centralismo amministrativo ha puntato infatti su istituzioni sovracomunali per affrontare le problematiche dei trasporti, delle scuole, della sanità. Apparentemente si è raggiunta una buona razionalizzazione dei servizi, ma il prezzo pagato è la disgregazione sociale in immense aree abitative, dormitori svuotati di ogni altra funzione, in cui è impossibile per le persone qualsiasi forma di identificazione. Queste sono le cosiddette città metropolitane, soluzioni astratte, ingegneristiche, dunque mostruose.
Spesso nel dibattito italiano emerge la volontà di risolvere i problemi amministrativi delle grandi aree urbane con la realizzazione della città metropolitana. Ciò che succede a Parigi suggerisce di starsene alla larga. In Italia, intorno ai grandi centri urbani, abbiamo ancora piccole città di lunga tradizione.

Si tratta di sostenerle e qualificarle sempre meglio, perché qui, non solo diventano più semplici e spontanee l’accoglienza e l’integrazione di chi viene da fuori, ma anche è più facile il controllo sociale per assorbire tensioni e conflitti.

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