Roma

Civitavecchia Poliziotto uccide un senegalese

Ispettore di polizia spara a un vicino uccidendolo. Si incrociano davanti casa, come tante altre volte. Ma ieri mattina in via Sposito, zona Campo dell’Oro, a Civitavecchia, Paolo Morra, 50 anni, imbraccia un fucile a pompa. E spara. Un colpo calibro 12 raggiunge la gamba destra di Diouf Behari Chehari, un senegalese di 42 anni, da 20 in Italia, recidendogli l’arteria femorale. Inutile ogni soccorso: l’uomo muore durante il trasporto all’ospedale San Paolo. A mettere le manette all’ispettore, viceresponsabile dell’Ufficio immigrazione, gli stessi colleghi del commissariato locale, da lui avvertiti dell’accaduto. Mentre viene interrogato dal pm, amici e parenti della vittima, dopo un tentativo di entrare nel distretto di viale della Vittoria, bloccano la strada per impedire a due testimoni di allontanarsi. «Vogliamo sapere da loro che cos’è successo - urlano mentre i poliziotti cercano di calmarli - non ci fidiamo di quello che è stato detto».
Una storia a dir poco drammatica, protagonista da una parte «Paoletto», un graduato di polizia già coinvolto nel 1995 in una sparatoria a Borgata Aurelia, da due mesi in congedo per malattia. Dall’altra un extracomunitario che per sopravvivere vende borse al mercato della cittadina portuale. Il primo una grande passione per i cani di razza corsa, tanto da dedicarsi, assieme ai fratelli, all’allevamento di cucciolate con pedigree da campioni. Il secondo, che viveva assieme a due cugini in una casupola accanto alla villa del poliziotto, con una famiglia numerosa da mantenere. Due mogli e sei figli rimasti in Africa che ricevevano ogni mese il denaro guadagnato d’estate sulle spiagge di Ladispoli, d’inverno con il banco in piazza Regina Margherita.
Sono le 8,30 quando i due destini s’incrociano sulla strada che delimita le due proprietà. A questo punto la verità è tutta da stabilire. Qualcuno, come prima ipotesi, parla di un litigio cui assiste l’ispettore Morra. Per mettere fine al parapiglia l’uomo entra in casa per prendere il fucile, regolarmente denunciato. Il destino ci mette lo zampino e parte il colpo letale. Più tardi il poliziotto tenterà di dire che il colpo è partito accidentalmente. Altra ipotesi, la più accreditata, è che Morra litighi con il senegalese e per intimorirlo esploda un primo colpo in aria, un secondo mirando alle gambe. Stando ai rilievi della scientifica Mehari si accascia sul cortile antistante la propria abitazione in un lago di sangue. Un paio di testimoni hanno deposto davanti al pm Bianca Maria Cotronei e le loro versioni messe a confronto con quella dell’ispettore, immediatamente sospeso dal servizio dal questore Giuseppe Caruso. Fondamentale il racconto di Dagne Mori, cugino di Diouf Behari: «Ho sentito due spari. Diouf era fuori, stava preparando le sue cose per andare a lavorare. Sono uscito e l’ho visto a terra e il poliziotto con il fucile di colore grigio imbracciato che sparava. Diouf ci ha detto di rientrare in casa. Dopo dieci minuti è arrivata la polizia. Hanno tentato di bloccare l’emorragia con una cinta. Poi è arrivata l’ambulanza e lo hanno portato via. Noi siamo stati portati prima in commissariato e poi in Procura». «Non abbiamo sentito alcun litigio tra i due - continua Dagne - l’agente è entrato nel nostro giardino e ha fatto fuoco. L’ho visto con i miei occhi». «Vivevamo tutti e tre in quella casa da circa quattro mesi - dice l’altro cugino, Modou Balla -. Per motivi di lavoro siamo sempre fuori, non abbiamo nessun rapporto né con il poliziotto né con la sua famiglia. Ma da quando ci siamo trasferiti, però, l’ispettore non voleva vederci in giardino. Ci diceva che non dovevamo stare là». Morra è stato sottoposto a fermo di pg con l’accusa di omicidio volontario.


yuri9206@libero.it

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