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La clamorosa rivelazione del segretario di Stato Usa, Rumsfeld, alla rete televisiva Fox dopo le indiscrezioni pubblicate dal «Sunday Times» Il Pentagono: «Trattative in Irak con i ribelli» Gli americani ammettono che vi sono stati colloqui con i guer

Gli incontri all’inizio di giugno a Balad, a nord di Bagdad, sembra che fossero presenti anche uomini del gruppo che sequestrò e uccise Baldoni

Erica Orsini

da Londra

Nell'Irak travolto dalla violenza della guerriglia gli americani trattano con i ribelli. L’amministrazione di George W. Bush aveva affermato sempre affermato che non sarebbe mai sceso a negoziati con gli insorti, ma ieri, dopo le rivelazioni pubblicate in prima pagina dal britannico Sunday Times, il segretario alla Difesa statunitense Donald Rumsfeld ha dovuto ammettere che ci sono state trattative tra rappresentanti Usa e quelli di alcuni tra i più importanti gruppi della resistenza irachena.
Ben due settimane d'incontri - secondo quanto raccontato dal Sunday Times - organizzati grazie alla preziosa mediazione di Ayham al-Samurai, musulmano sunnita ed ex ministro dell'Elettricità del governo ad interim, ritornato nel suo Paese alla deposizione del dittatore Saddam Hussein, dopo vent'anni trascorsi in esilio in America. Colloqui difficili, tra due parti divise da un'ostilità profonda, segnati dalla diffidenza, intrapresi nel disperato tentativo di porre fine a un'ondata di violenza che, anziché esaurirsi, sembra trarre sempre nuova linfa dalla presenza delle forze della coalizione in Irak.
Proprio pochi giorni fa era stato lo stesso comandante regionale delle forze Usa, il generale John Abizaid, ad ammettere di fronte al Congresso americano che la capacità della guerriglia è oggi «più o meno la stessa» di sei mesi fa e che «c'e' molto lavoro da fare contro i ribelli». Appare ora chiaro che abbiano fatto di questo lavoro anche i negoziati segreti appena spiattellati ai quattro venti dal giornale britannico.
Gli incontri si sarebbero tenuti all'inizio di giugno, in una villa estiva a Balad, cittadina situata sulle colline, circa 60 chilometri a nord di Bagdad. A uno spettatore casuale, senza malizia né troppa curiosità, quella riunione tra uomini del posto e visitatori occidentali, sarebbe potuta sembrare una semplice visita di cortesia, una gentile tregua per sfuggire allo stress della guerra. La forte presenza militare tutt'intorno l'edificio faceva però subito intuire che tra quelle mura non si stava soltanto sorseggiando una tazza di tè.
A Balad, a quanto pare, si sono dati appuntamento una delegazione americana e una irachena. Per gli Usa sarebbero stati presenti un militare, un membro dei servizi segreti, uno del Congresso e un diplomatico dell'ambasciata statunitense a Bagdad. Per I ribelli, invece, c'erano i rappresentanti di diversi gruppi, tra i quali «Ansar al Sunna» - responsabile di molti attentati sanguinosi, come quello contro la base Usa di Mosul in cui sono morte 22 persone - e l'«Esercito islamico dell'Irak» che ha rivendicato anche l'omicidio del giornalista italiano Enzo Baldoni.
Secondo le fonti irachene del Sunday Times, non sarebbero stati invece coinvolti nella trattativa i rappresentanti della più feroce organizzazione terroristica irachena, quella legata ad al Qaida e guidata dal giordano al Zarkawi. Gli informatori del giornale britannico hanno raccontato che gli americani si sono presentati alla controparte come «rappresentanti del Pentagono», dichiarandosi pronti a trovare «un modo per bloccare la violenza da entrambe le parti e ad ascoltare richieste e rimostranze». Il dialogo nei due incontri, avvenuti il 3 e il 10 giugno, non si sarebbe poi rivelato molto produttivo poiché gli americani avrebbero tentato continuamente di carpire notizie importanti sulla struttura dei gruppi terroristici e sulle loro attività. Gli iracheni si sarebbero inoltre categoricamente rifiutati di prendere le distanze dagli uomini di al Zarkawi.
Contatti informali come quelli rivelati dal Sunday Times erano già stati ipotizzati, ma fino a ieri, il governo americano non aveva mai confermato alcuna riunione. L'ammissione dell'uomo tutto di un pezzo del governo Bush segna una svolta in questo tragico dopoguerra. Prima a mezze parole, poi con frasi sempre più pesanti, anche Rumsfeld ha dovuto ammettere che l'America sta cercando un'altra via d'uscita dall'Irak. Una via fatta anche di compromessi con chi si fa saltare in aria per strada, uccide soldati e civili. «Gli iracheni hanno un governo sovrano - ha dichiarato ieri il braccio destro di Bush all’americana Fox Tv - e decideranno loro quali relazioni avere con alcuni elementi dei gruppi d'insorti. Noi di tanto in tanto li facilitiamo». Confermando quella che appare come una vera e propria inversione di tendenza nella gestione della crisi irachena, il ministro ha dichiarato che «non saranno gli americani, ma gli stessi iracheni ad avere la meglio sulla resistenza».

Non sarà comunque una vittoria facile, né tantomeno rapida perché «la guerriglia potrebbe durare anche 12 anni».

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