Il clan Rubin al salvataggio di Citigroup

Si è fatto eleggere promettendo una politica più pulita, libera dall’influenza delle lobby, ma sono bastate tre settimane per capire che Barack Obama si è già lasciato contagiare dall’establishment che a parole dichiarava di voler combattere. E se con George Bush il problema era rappresentato dai suoi legami con l’industria del petrolio e, tramite il vice Cheney, con quella della difesa, quello del nuovo presidente si chiama banche. Una su tutte: Citigroup. E in America c’è già chi sospetta un conflitto di interessi.
Nulla di personale, sia chiaro: le mani di Obama sono e verosimilmente resteranno pulite. I dubbi riguardano la sua squadra di esperti economici, che tutti hanno giudicato di grande livello. Ed è vero, si tratta di professionisti di prim’ordine. Ma con un tratto in comune: provengono quasi tutti dalla scuderia di Robert Rubin. Chi segue le vicende di Borsa se lo ricorda bene: come ministro del Tesoro ai tempi di Bill Clinton impostò una politica economica incentrata su tre pilastri: budget pubblici in equilibrio, libero mercato e, attenzione, deregolamentazione dei mercati finanziari. Lasciò l’incarico anzitempo al suo braccio destro Larry Summers, che completò l’opera spingendo ancor di più banche tradizionali, d’affari, assicurazioni, colossi dei mutui ad avventurarsi nelle praterie dei derivati. Rubin poté così tornare al mondo di Wall Street, dove venne accolto a braccia aperte da Citigroup, dapprima nel consiglio e, in tempi recenti, come presidente.
Da banchiere navigato non ha mai perso il contatto con il mondo politico, puntando nell’anno elettorale su Barack Obama, di cui in campagna elettorale è diventato uno dei consiglieri. Di certo il più ascoltato; perché Obama si è riempito la casa di «Rubin boys». Il prossimo segretario al Tesoro sarà Timothy Geithner, presidente della Fed di New York, e dieci anni fa giovane funzionario del governo, scoperto e valorizzato proprio da Summers, a cui Barack ha affidato la guida del National Economic Council. Il direttore del budget sarà Peter Orszag, naturalmente un altro protetto dell’ex ministro del Tesoro, il quale in queste ore è riuscito a piazzare come consulenti presidenziali, il figlio James e quel Michael Froman, ex chief of staff che poi lo ha seguito alla Citigroup, di cui proprio domenica il governo Usa ha garantito il salvataggio. Ispirato da chi? Da Rubin, s’intende, che nel fine settimana ha tempestato di telefonate sia il suo grande amico Henry Paulson, ministro delle finanze ed ex presidente di Goldman Sachs, sia la Fed di New York, ancora guidata da Geithner. Insomma, come ha rilevato il Washington Post il gigante bancario è stato sorretto da un anomalo trio, composto da un ex ministro del Tesoro, da quello in carica e da quello prossimo venturo. Con il plauso di Bush. E di Obama.
I mercati hanno festeggiato, ma la stampa Usa non ha gradito, soprattutto quella progressista. Il neo premio Nobel dell’economia Paul Krugman pur ritenendo necessario il salvataggio lo ha definito «vergognoso». Non a torto: i costi ricadono sul cittadino e la direzione di Citigroup resta al suo posto.

Il New York Times invoca il mea culpa di Summers per gli errori commessi negli anni Novanta e anche quello di Geithner, che negli ultimi mesi ha condiviso le scelte di Paulson, salvando il gigante assicurativo Aig, ma lasciando morire Lehman Brothers.
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