Cleave, come si suicida un romanziere ambizioso

Debutta in Italia il romanzo di Chris Cleave Incendiary (Frassinelli), preceduto da trionfali squilli di tromba che annunciano traduzioni in 15 lingue, tirature astronomiche e un imminente film. L’editore italiano ha anche diffuso un depliant, otto pagine di estratti dal libro conditi da affermazioni tipo «Il romanzo che ha “anticipato” l’attentato di Londra» o «Se non avete ancora sentito parlare di Chris Cleave, succederà a breve».
Ecco, appunto. Parliamone. Confesso che un momento di confusione è venuto già alle prime righe del romanzo: «Caro Osama, ti vogliono vivo o morto così il terrore finirà», che sembravano l’incipit di un sermone di Oriana Fallaci. Poi l’equivoco si è chiarito, ma il disagio è rimasto. Il romanzo, scritto in prima persona, ha (o meglio, vorrebbe avere, dato che spesso il narratore si perde per strada) la forma di una serie di lettere scritte a Osama Bin Laden da una giovane proletaria londinese che ha perso il marito e il figlio di quattro anni in quello che si potrebbe definire «la madre di tutti gli attentati»: sei bombe a frammentazione e cinque incendiarie nascoste addosso ad altrettanti kamikaze islamici fanno saltare in aria una tribuna dello stadio che ospita il big match del primo maggio Arsenal-Chelsea. I morti sono più di mille. Ne seguono conseguenze a livello nazionale (licenziamento di tutti gli islamici dal pubblico impiego, cortine di palloni frenati per difendere la città da attacchi aerei, coprifuoco...) e drammi privati, soprattutto per l’anonima protagonista del romanzo, che vaga per Londra a sfasciar matrimoni (cosa che peraltro faceva già prima dell’attentato) e vedendo in ogni angolo il suo bambino, a volte intero, a volte carbonizzato o semidecomposto, come l’amico del protagonista del film Un lupo mannaro americano a Londra.
Cleave dice che è stato un libro «difficile e spaventoso da scrivere». Che l’ha scritto per amore di suo figlio, che ha mosso il primo passo l’11 marzo 2004, proprio il giorno in cui i terroristi uccisero 191 persone a Madrid. Dice che la coincidenza l’ha sconvolto. In effetti... Sarebbe forse il caso di tenere d’occhio la famiglia Cleave, dato che Incendiary - che descrive un attentato di Al Qaida - è uscito nelle librerie il 7 luglio 2005: il giorno dei sanguinosi attentati alla rete di trasporti londinesi, che provocarono più di 50 morti. E se vogliamo aggiungere un tocco in più di Nostradamus, va detto che la scena dell’annegamento di massa al Lambeth Bridge anticipa in modo impressionante i 640 morti del 31 agosto sul ponte di Bagdad...
L’autore dice di aver scritto Incendiary in sole sei settimane. Purtroppo si sente. La struttura è sbilenca, i colpi di scena artificiali. La psicologia del protagonista è inesistente, mentre i comprimari sembrano usciti dalla sceneggiatura di un brutto film. Il risultato è che in un libro così pieno di elementi che sembrano fatti per strappare la commozione non ci si commuove per niente. Che in un romanzo così ricco di scene drammatiche, il dramma è in realtà del tutto assente, tanto che il personaggio più vivo e commovente è Mister Coniglietto: il peluche del bambino, mutilato dall’esplosione. Ma il fallimento peggiore è quello nella resa della psicologia della protagonista, e nel linguaggio che l’autore le fa usare: vorrebbe essere il linguaggio di una casalinga rozza e sboccata dell’East End, ma ecco che in mezzo a un paragrafo dalla grammatica sbilenca e priva di punteggiatura spuntano frasi come «Certo. Il nervosismo assale anche me», «Era ora di rimettermi addosso la mia vita», «Questa vita che è un rombo assordante». Frasi del tutto fuori posto, in bocca alla protagonista, come certe osservazioni in stile Bridget Jones tipo quella su un sushi «più simile a un incidente nautico che a un pranzo».
Di Incendiary, alla fine, rimane un senso di vuoto, di una buona occasione e di un talento sprecati. Perché Cleave è uno scrittore che, se vuole, può fare scintille con le parole. E in un paio di punti il romanzo ha guizzi di autentico genio. Le scene all’ospedale, ad esempio, con la drammatica/grottesca visita del principe William o l’amicizia della protagonista con un’infermiera musulmana, sono da antologia.

Non resta quindi che aspettare (incrociando le dita...) che l’autore riprenda in mano i due romanzi che dice di aver interrotto per scrivere questo inutile, sbagliato (e molto fortunato) sushi di carne e lacrime che sembra più un incidente nautico che un libro.

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