Politica

Dal clima al buco nell’ozono Il catastrofismo è una moda

Studio inglese (laburista) smonta i teoremi dell’ecologismo: «Sono pornografia ambientale che serve a fare notizia e vendere»

Eleonora Barbieri

da Milano

Il catastrofismo globale gioca su parole attraenti come un thriller: dal surriscaldamento del clima allo scioglimento dei ghiacciai, dalle specie in estinzione alla crisi delle risorse planetarie. Lo scenario apocalittico, accompagnato da immagini crude e titoli visionari, non è però solo il frutto dell’ideologia ambientalista: dipingere il futuro in nero fa vendere copie, e i mezzi di informazione, spesso, non si lasciano scappare l’occasione. Il sospetto che, dietro tante battaglie, ci sia anche la voglia di guadagnare qualche soldo in più, non è lanciato da uno degli «scettici» alla Bjorn Lomborg, ma dall’Institute for Public Policy Research di Londra, organismo vicino al partito laburista che si occupa di studi di politica pubblica che, in un rapporto pubblicato ieri, non ha esitato a parlare di «pornografia climatica» per definire l’atteggiamento dei media rispetto alle questioni ambientali, prima fra tutte il cambiamento del clima.
La ricerca inglese (intitolata Warm words, «parole calde») ha preso in esame seicento quotidiani e riviste dalla fine del 2005, oltre a telegiornali e pubblicità e il risultato è che, quando l’argomento è il clima, l’allarmismo non è mai abbastanza: immagini e termini evocano catastrofi quasi imminenti, tanto che il dibattito sul tema è «caotico e contraddittorio».
Tanto accanimento - spiega l’indagine - ha anche motivazioni commerciali: proprio come le foto pornografiche in copertina attraggono il pubblico, così evocare cataclismi dietro ogni angolo (o temporale fuori stagione, o estate più torrida) stimola la passione individuale per le tragedie, l’irrazionale, l’ingovernabile. Uno dei risultati più immediati è che la gente si sente impotente, disarmata di fronte a cambiamenti apparentemente inevitabili: tanti disastri, insomma, portano all’inedia. Perché sforzarsi, se l’esito è già segnato? E perché poi, dall’altro lato, condire l’ineluttabile con una serie di consigli spiccioli, «buone azioni quotidiane» che, di fronte a forze di tali proporzioni, sembrano formichine? «Ciò che alcuni giornali pubblicano è davvero “pornografia climatica” perché, in certi casi, propinano una specie di film catastrofico - ha spiegato alla Bbc on line Simon Retallack, che si occupa proprio di cambiamenti climatici per l’Istituto e ha coordinato la ricerca -. Il pubblico, così, si sente privo di ogni potere. E, quando il quadro sembra un romanzo di fantascienza, il dubbio è che ci sia qualche elemento irreale di troppo». Il punto, secondo lo studioso, non è che non si debba parlare dei cambiamenti in corso, ma che lo si faccia, piuttosto, pensando ai rimedi possibili: «È più facile vendere copie quando in prima pagina compare un’immagine terrificante, piuttosto che scrivendo di soluzioni a portata di mano». Si ricorre alla voce grossa per terrorizzare (e solleticare) il pubblico, poi, quando si profila una soluzione, i toni si smorzano. Per non dire di quando gli allarmi si rivelano infondati: molti studiosi hanno messo in guardia su un possibile cambiamento verso un’era glaciale, piuttosto che verso il surriscaldamento globale. Così come sull’effetto serra si è scatenato lo scetticismo degli scienziati (a partire dal premio Nobel Kary Mullis).
Uno studio di scienziati inglesi sugli effetti climatici di un raddoppio nelle emissioni di anidride carbonica, pubblicato su Nature lo scorso anno, aveva ipotizzato un aumento medio di tre gradi della temperatura terrestre; soltanto secondo una minima parte dei ricercatori le previsioni erano peggiori, fino a undici gradi in più. Eppure, solo quest’ultimo dato è stato preso in considerazione al momento di dare la notizia al pubblico. L’esagerazione funziona, anche sull’immaginario collettivo: nell’ultimo secolo la temperatura si è alzata di 0,6 gradi, ma molte persone credono che l’innalzamento sia stato di due o tre gradi. Merito della passione apocalittica di alcuni che, anche col freddo, riescono a scaldare comunque l’aria.

E a vendere copie.

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