Clima freddo tra i due leader Telefono muto da tre giorni

Roma A tre giorni dalla chiusura delle urne Berlusconi e Fini ancora non hanno trovato il tempo per una telefonata. D’altra parte, che i due non siano propriamente sulla stessa lunghezza d’onda non è certo una novità. E ieri lo andava certificando pure il finiano Granata, arrivando a dire che la posizione del Cavaliere sul referendum «è condizionata da una certa delusione per l’esito delle europee», un risultato che invece «è per noi soddisfacente». Insomma, a voler essere maligni ci si potrebbe leggere quella che per molti è un certezza: se Berlusconi puntava a superare la soglia del 40% il presidente della Camera auspicava l’esatto contrario, consapevole del fatto che un Cavaliere strabordante avrebbe comportato una brusca frenata nella sua strategia di smarcamento. Tanto che in privato l’ex leader di An non ha esitato a definire quello delle europee «un buon risultato».
Così, ci sta che da ieri il duello a distanza tra i due si sia spostato sul fronte referendum. Con Berlusconi a fare asse con la Lega per «disinnescare» il quesito e Fini a ribattere che lui voterà. Un teatro polemico quanto mai sterile, soprattutto considerando il fatto che - vista anche l’affluenza di sabato e domenica - le probabilità che il 22 giugno si arrivi al quorum sono pari allo zero. Insomma, non ha torto Straquadanio quando dice che lunedì sera il Cavaliere ha siglato «un accordo a costo zero». E portato a casa l’impegno della Lega per i ballottaggi con tanto di comizi congiunti Bossi-Berlusconi sia a Milano che a Torino. D’altra parte, il premier sa bene che ripetere il copione di cinque anni fa - quando al secondo turno delle provinciali di Milano la Colli perse anche per lo scarso sostegno leghista - sarebbe un autogol clamoroso e non farebbe altro che rivitalizzare un Pd ai minimi storici. Così, Berlusconi non ha fatto obiezioni quando il Senatùr ha chiesto che l’intesa venisse formalizzata con una nota ufficiale perché è vero che l’elettorato leghista è reticente a votare candidati non suoi e lo è ancor di più se nello stesso giorno si vota un referendum che potrebbe sancire la fine del Carroccio.
Il rinsaldarsi dell’asse tra Berlusconi e Bossi, però, pare non abbia fatto la gioia di Fini. Che lunedì ha benedetto un corsivo su FareFuturo nel quale si puntava il dito contro una maggioranza troppo schiacciata sul Carroccio e ieri è letteralmente saltato sulla sedia quando ha visto in agenzia la nota del Cavaliere. «Peraltro - fa notare ai suoi collaboratori piuttosto infastidito - un comunicato firmato da Palazzo Chigi...». Così, ci sta che Fini si affretti a far sapere di essere pronto ad andare a votare il referendum per il quale, va detto, si è speso fin dalla raccolta delle firme. Due stoccate - quella di FareFuturo e quella di ieri - che sono arrivate a destinazione nonostante Calderoli giuri che l’argomento non è stato discusso nella cena di Arcore. «Quello di associare qualunque cosa scriva FareFuturo a Fini è un vezzo di voi giornalisti», spiega il ministro prudente ma pure lui poco convinto. D’altra parte, sul quel corsivo il timbro del presidente della Camera c’era eccome.
È chiaro, infatti, che dietro la partita referendaria - di fatto chiusa da mesi - si gioca un più complesso rebus interno alla maggioranza. E che ha come oggetto non solo gli equilibri tra Lega e Pdl - con Berlusconi che è sempre più convinto sia il Senatùr l’unico alleato davvero fedele fino in fondo - ma anche gli assetti dentro il Pdl. Fini, infatti, non solo è dell’idea che debba finire «l’inseguimento della Lega» (lo ripeteva ieri Della Vedova) ma è anche convinto che dopo i ballottaggi sia necessario un chiarimento sulla struttura del partito. Un punto su cui converge il Cavaliere, seppur da una prospettiva diversa. Il premier, infatti, sembra essere piuttosto insoddisfatto di come il partito ha risposto sul territorio, soprattutto lì dove la tornata era solo europea e senza il traino delle amministrative. E per questo già da lunedì ipotizza nuovi scenari interni per rendere la macchina del Pdl più efficiente. Questione, questa, su cui Fini concorda ma con ben altre priorità.

Ieri, infatti, seppure in privato il presidente della Camera non nascondeva di riconoscersi «abbastanza» nell’editoriale di Flavia Perina sul Secolo d’Italia. Che chiudeva così: «È caduta l’idea che in politica si possa avanzare esclusivamente al traino di una leadership, per quanto forte e popolare essa sia».

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