La Clinton arriva in Pakistan e i talebani fanno una strage

Arriva Hillary Clinton in visita in Pakistan e i talebani - non solo pachistani ma anche quelli afghani - le danno il benvenuto a modo loro. Con due stragi terribili e impressionanti, non solo per il bilancio sanguinoso (più di cento morti solo a Peshawar in Pakistan) ma anche perché rappresentano, con le loro modalità, una sfida aperta sia agli «invasori» occidentali sia alle stesse Nazioni Unite.
Una sfida che ha costretto il segretario di Stato americano, che prima del suo arrivo a Islamabad, dove si tratterrà tre giorni, aveva detto ai giornalisti che viaggiavano con lei sull’aereo di voler «voltare pagina» nelle relazioni tra Stati Uniti e Pakistan rispetto all’agenda degli anni passati incentrata sull’antiterrorismo, a ripetere proprio quei vecchi concetti: «In Pakistan gruppi estremistici brutali e tenaci uccidono gente innocente e seminano il terrore. È anche la nostra battaglia, vi daremo l’aiuto che vi serve».
Un aiuto economico assai generoso quello americano, indispensabile per sostenere le fragili infrastrutture del Paese (afflitto ad esempio da cronica carenza di forniture di elettricità) ma anche lo sforzo militare in corso contro i «santuari» dei talebani tra le montagne delle aree tribali al confine con l’Afghanistan.
Spaventose le modalità della strage avvenuta nell’importante città pachistana di Peshawar, la più sanguinosa degli ultimi due anni nel Paese musulmano alleato degli americani, già purtroppo avvezzo alle brutalità degli estremisti islamici sul suo territorio. Alle 13.20 ora locale (le 8.20 in Italia) un’autobomba con a bordo sembra 150 chili di tritolo ha provocato una violentissima esplosione che ha devastato il centrale mercato di Peepal Mandi. Le conseguenze sono state un vasto incendio ed enormi distruzioni: edifici crollati (tra questi si registra la completa distruzione della moschea di Umme Habiba), negozi in fiamme, veicoli squarciati. E soprattutto, purtroppo, almeno cento morti e 200 feriti, tra cui tantissime donne e bambini. Un bilancio certamente destinato a peggiorare, viste le condizioni precarie di molti dei feriti, rimasti mutilati o ustionati, e la certezza di trovare ancora in queste ore diverse persone sepolte dalle macerie.
Il primo dei due attentati era però avvenuto a Kabul alle prime luci del giorno, quando in Italia era ancora notte fonda. Cinque terroristi con armi automatiche e le tristemente abituali cinture inzeppate di esplosivo sono riusciti a penetrare nella sede della missione di assistenza dell’Onu nella capitale afghana e hanno attaccato una foresteria. Le forze di sicurezza hanno ingaggiato con loro un conflitto a fuoco che è durato oltre due ore e che si è concluso con un tragico bilancio: tutti gli assalitori abbattuti, ma anche nove morti tra gli impiegati della struttura internazionale, quasi tutti stranieri.
Contemporaneamente, razzi venivano lanciati contro l’Hotel Serena, ben noto per essere abitualmente frequentato da occidentali: l’attacco ha scatenato il panico, costringendo un centinaio di ospiti a rifugiarsi in un bunker, ma in quest’occasione non ci sono state vittime.


Le due azioni nella capitale dell’Afghanistan sono parse coordinate tra loro e sembrano chiaramente parte della strategia del terrore promessa dai talebani in vista del ballottaggio presidenziale fissate per il 7 novembre: il portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs ha detto che il tentativo di far fallire l’appuntamento elettorale «non avrà successo».

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