La Clinton rischia una doccia gelata

Hillary è al tempo stesso la personalità politica più amata e più detestata dagli americani. Ha puntato sul centro, ma forse ha sbagliato i suoi calcoli

La Clinton rischia una doccia gelata

Lei. Hillary: come si muove, come parla, come si comporta, come tratta Bill, chi sceglie. Le sue rughe e suoi capelli. Candidata, moglie e madre. Lei: sì o no. L’America oggi comincia un referendum. Queste primarie mascherano una scelta sola: capire davvero se è pronta la Clinton e se è pronto il Paese. Una donna alla Casa Bianca è una possibilità, un incubo per mezza America e una speranza per lei: «Datemi una notte, vi darò ogni giorno della mia presidenza». Per una volta sorride, la Clinton. È finita una stagione, undici mesi di campagna elettorale da favorita, da personaggio principale, da candidata inevitabile. È il suo business, questo. È lo stesso del 1991, quando accompagnava Bill in giro per l’America a consegnare porta a porta il sogno provinciale del governatore dell’Arkansas. Tutti dissero che lei era l’ombra. Consigliera, stratega e ministra fantasma, invadente al punto che il vicepresidente Al Gore cominciò a non sopportarla. È cambiata: la provincia è diventata il centro, Hope è diventata New York, poi Washington, ha stravolto il look, le idee, il carattere. Sei anni a prepararsi la strada: dal giorno in cui uscì da first lady frustrata e tradita, a oggi, a Des Moines, a una mano alzata in una palestra. Sceglieranno lei, o Obama, o Edwards. Saranno i primi, in un lungo e complicato cammino che porta a Washington. Cioè il suo obiettivo, la sua fissazione.
Dicono l’avesse anche sussurrato, tirandosi dietro di sé la porta della Casa Bianca: «Tornerò». Dicono. Adesso si dice tutto, vale tutto, funziona tutto. Hillary è una chiacchiera perenne, è un gossip infinito, è una verità vera o verosimile, senza differenza. È il potere, comunque. E quindi piaggeria, appoggio, sostegno, ma pure satira, veleno, cattiveria. Nessuno come lei seduce e infastidisce. Santa e diabolica. I nemici la descrivono come una acida opportunista, una in grado di obbligare l’elicottero presidenziale a tornare a terra perché lei aveva dimenticato gli occhiali da sole. Dicono che se vincerà, allora sarà un insulto alla Costituzione: nessuno può essere eletto per più di due mandati. È il sarcasmo che si trascina dal 1992, quando cominciò la storiella di Billary, «dei due al prezzo di uno».
Si ricomincia, ora. Di nuovo, al contrario. È come doveva essere, come aveva pianificato in una specie di memorandum scritto con Bill: prima lui presidente, poi lei. Voci. Ce n’è una ogni giorno su Hillary: cattiva o buona, notizie, indiscrezioni, rivelazioni. Love her, hate her, ha scritto il settimanale Time. L’America non ha ancora capito se la ama o la odia, se la vuole oppure no, se è pronta per un presidente donna e se quel presidente possa essere lei. Il suo staff le ha cucito addosso l’abito della candidata migliore: preparata, capace, decisa, esperta, responsabile, forte. Centro è la parola, è la chiave, è la lettura. È la nuova via politica e personale, è una posizione, un’identità. «Centro» è il passaggio neanche troppo segreto per la Casa Bianca. Gli avversari dicono che ha anticipato, che ha cercato il consenso dei moderati troppo presto, mentre nelle primarie doveva sfondare più a sinistra. Ha scelto la via opposta: a destra il più possibile. Quindi centro, appunto. È il messaggio che trasmette il suo staff, convinto che per avere credibilità con l’America profonda deve essere più conservatrice possibile. Moderata. I giornali «amici» la appoggiano. Newsweek la lancia: «È lei l’investimento più sicuro per il 2008». Spiegano che ha smussato il suo carattere spigoloso: ora non è la stessa che nel 1993 andò allo scontro col Congresso per la riforma sanitaria studiata per Bill. No, adesso non lo farebbe. Non è più quella che fece fuori lo chef dalla Casa Bianca per un capriccio.
Vuole che l’America stia con lei, Hillary. Il Paese crede che sia la meno religiosa tra i potenziali presidenti? Arriva la risposta: «Nei momenti difficili, ho chiesto l’aiuto di Dio. Non sono sicura che senza fede ce l’avrei fatta». Non quando Bill la tradì con Monica Lewinsky. Non nelle scelte di vita: la candidatura al Senato e adesso quella alla Casa Bianca. Hillary ringrazia i «guerrieri della preghiera»: amici e sconosciuti che nel corso degli anni hanno invocato la protezione del Signore su di lei. Si presenta alle messe gospel. Bill accanto, il peccatore pentito. Lei fiera, la moglie che ha saputo resistere, che ha tenuto in piedi un matrimonio, ha salvato una famiglia perché ha trovato la forza del perdono. La riscoperta di Dio è parte della nuova signora Clinton, è il tentativo di avvicinarsi a quell’America che la giudica snob e la odia perché la assorbe in un intruglio da liberal metropolitana, ricca e falsa. È una specie di maledizione per lei: c’è una parte del suo partito che la giudica troppo conservatrice, che non la sopporta per aver votato sì alla guerra in Irak e c’è la massa dei repubblicani che la sentono impassibile, algida, distaccata.

Quelli che si sbellicano dalle risate quando sentono le battute del comico David Letterman: «L’impegno ambientalista di Bill contro il surriscaldamento globale è cominciato quando ha visto staccarsi un pezzo di ghiaccio dal viso di Hillary». «Fredda» è un’altra accusa comune. È così che è arrivata una nuova era: in Iowa, col termometro sottozero e lei invece calda. Non sa se basterà. Il referendum è un sì o un no: glaciale, più di lei.

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