Al Crazy Horse lo show di Clotilde Courau in Savoia comincia dal sipario. Uno schermo gigantesco che occupa tutto il palcoscenico. Dove il suo viso così parigino che qualcuno ha paragonato a un delizioso scoiattolo Disney, tagliato in due dal filo di un’invisibile mannaia, ammicca con grazia allo spettatore. Che in platea si prepara mescendo champagne all’incredibile visione semi hard della principessa più chiacchierata d’Europa. La quale, dopo l’esibizione di una contorsionista che, in perfetto stile Rita Renoir mostra a testa in giù due seni da capogiro, sbalestra con suadente ironia le attese. Dato che canta in divisa da majorette la famosa Je cherche un millionaire di Colette Renard in cui chiede supplichevole al pubblico di presentarle subito il fatidico tycoon da spennare.
Non è un po’ pochino per chi si aspettava, dopo lo strip su questa stessa scena di Arielle Dombasle consorte del filosofo Bernard-Henri Levy, un analogo exploit?, le chiediamo non appena in un tubino nero che ricorda Audrey Hepburn ci accoglie in camerino.
«E perché mai?. Io non sono una spogliarellista, ma un’artista di tipo dadaista che scegliendo di esibirsi nel tempio del nudo, ha deciso di mostrare il contenuto della mente attraverso il suo corpo, non l’ha capito?».
Difficile darle torto, ma non è un po’arrischiato questo rimando all'avanguardia storica?
«Oggi in tutto il mondo non attraversiamo un momento di crisi ma una perdita assoluta di valori. Quindi chi vuol reagire al consumismo che minaccia di travolgere la cultura deve avere il coraggio di rompere gli schemi in vista di altri obiettivi».
Mi dica quali.
«Da mesi tento in umiltà di realizzare un sogno. Riempire la scena con la mia sola persona in uno show particolare in cui reciterei i poeti che amo legando ogni verso di Rimbaud e ogni capoverso di Ronsard alle musiche più belle della canzone francese. Voglio mostrare al pubblico il filo diretto che esiste tra l’accorato lamento della Piaf e il tormento di Baudelaire. E sa cosa m’ha risposto il produttore?».
Me lo dica lei.
«Che me l’avrebbe fatto fare a condizione di andare in scena con due soli giorni di prova».
Possibile?
«Oggi, se non si corre ai ripari, si viene venduti come una scatola di conserva. Per questo ho accettato di cantare, muovermi, recitare, danzare al Crazy Horse».
Per capire se era in grado di farcela da sola?
«Esattamente».
Cantando un song malandrino di Coccinelle, il primo trans della storia del music-hall, avvolta nei veli color carne sfoggiati da Marlene Dietrich quando, nell’Imperatrice Caterina, seduceva gli ufficiali della guardia?
«Come no! Per non parlare del quadro ispirato a Chicago dove, imprigionata per errore in una buia segreta, sono vittima delle attenzioni poco ortodosse da parte di...»
Di tre professioniste del piacere. Ma non le pare di aver esagerato?
«Nello show-business bisogna provarsi in tutto e nel contrario di tutto».
Come fa suo marito alla televisione italiana?
«Attento, non deve provocarmi. Emanuele che fino a sette anni fa non poteva venire nel suo paese, vuole provare a sentirsi italiano a tutti gli effetti per recuperare l’identità perduta. La sua è una scommessa ben più difficile delle mie sfide. Dal momento che io sono nata sul palco e non lo lascerò mai».
Continuando ad alternare la recita al canto?
«Perché no? Dopo Tous les soleils, il film che ho girato con Stefano Accorsi, a novembre varo L’insoumise, il mio primo musical. Dove sarò una donna che non si arrende mai».
E il teatro con la t maiuscola?
«Sono in attesa di proposte interessanti. Ne ho già persa una a cui tenevo molto».
Quale?
«Quella del
Come darle torto, Madame la Princesse.
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