Massimiliano Scafi
da Roma
Basta, via. «Sette anni sul Colle - annuncia al Corriere della Sera - sono tanti. Raddoppiarli significherebbe instaurare una monarchia repubblicana». Parole chiare, nette, che improvvisamente riaprono la partita del Quirinale e che in qualche maniera condizionano pure quella per il governo. «Farò il senatore a vita - spiega il capo dello Stato - e lo farò con impegno». Si svuota quindi una casella nel grande Risiko della Repubblica? Non è detto. Passano infatti poche ore e Ciampi, dopo aver «sobbalzato sulla sedia», fa diramare una nota della presidenza per precisare che «il testo è una libera interpretazione di un incontro privato, tenutosi il 3 aprile». Cioè, quindici giorni fa, prima delle elezioni: e siccome da allora la situazione politica è completamente cambiata, potrebbero cambiare di conseguenza anche le scelte di Ciampi.
E allora: Ciampi lascia o raddoppia? Darà lincarico a Prodi o passerà la palla al suo successore, che magari sarà sempre lui? Come sempre in questi casi, la soluzione del giallo si conoscerà al momento di girare lultima pagina. Intanto tutti gli appuntamenti già fissati restano in piedi. Nel pomeriggio ludienza alla nuova giunta dellAnmi, stamattina la cerimonia di consegna dei David di Donatello, il 20 la partecipazione nelle Marche allapertura di una mostra di Gentile da Fabriano, il 25 aprile la commemorazione solenne della festa della Liberazione nel cortile donore del Quirinale, il 2 e 3 maggio il viaggio nella natale Livorno, lultimo del settennato.
Poi si vedrà. Sono mesi che Ciampi dichiara ufficialmente di non essere disponibile a un secondo mandato. «Voglio solo concludere con dignità il mio incarico, lavorando fino allultimo giorno». Niente bis e niente dimissioni anticipate, come invece continua a chiedere Francesco Cossiga, che vorrebbe risolvere così lingorgo istituzionale. Una linea che il capo dello Stato conferma ricevendo nel suo studio Marzio Breda, salito nelle vesti non di quirinalista del Corriere ma in quelle di autore del libro La guerra del Quirinale. Ne esce fuori un colloquio informale. «Per fortuna - dice Ciampi - lanagrafe è dalla mia parte e in un certo senso scongiura leventualità di una conferma come presidente. E poi sono convinto che sette anni quassù siano già tanti. In ogni caso io non mi ritiro affatto: farò il senatore a vita mettendoci lo stesso impegno che ho sempre cercato di assicurare in tutti gli incarichi che mi sono stati affidati. In quella veste continuerò a seguire gli sviluppi politici e istituzionali del Paese e darò il mio contributo».
Prosegue tracciando un sommario bilancio del mandato. Dalluso della moral suasion per correggere preventivamente alcune leggi del governo Berlusconi, allEuropa, dallIrak alla patria, dalleconomia al viaggio in Italia, fino a uninteressante difesa dalle accuse di troppa debolezza sul conflitto dinteressi. «Alla fine degli anni 90, quando cera il centrosinistra a Palazzo Chigi, ci fu un disegno di legge attorno al quale si era formata una larghissima maggioranza». Ma, «giunti ormai a un passo dal varo di una disciplina costruita con un accordo generale, si preferì lasciare giacere al Senato quelle norme».
Sembra insomma un consuntivo di un settennato giunto ai titoli di coda. Se non che, quando Ciampi legge il Corriere, «sobbalza sulla sedia» e chiama Gaetano Gifuni. «Comè stato possibile», si chiedono. Smentire è impossibile, perché il colloquio cè stato e evidentemente certe cose sono state dette. Quello che il Quirinale può fare è ridurne limpatto politico, cancellare limpressione di un Ciampi che sbandiera la sua nobiltà danimo contrapponendosi ai diversi comportamenti di altri, proprio mentre deve arbitrare la partita Prodi-Berlusconi. Da qui la nota. «Il testo è frutto di una libera ricostruzione di un incontro privato tenutosi il 3 aprile» significa che non si tratta di unintervista autorizzata e che in due settimane lo scenario si è ribaltato. Ciampi resta convinto che sette anni sono tanti, ma, confidano alcuni dello staff, di fronte a una richiesta forte e bipartisan, potrebbe «sacrificarsi».
Il capo dello Stato sa bene che attorno al suo nome potrebbe realizzarsi una delle poche intese bipolari di questa legislatura.
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