Il Colle traccia la strada a Monti: «Intesa sulla riforma»

RomaMonti torna dal viaggio in Asia e deve subito affrontare la grana sull’articolo 18. Un rompicapo per la soluzione del quale un ruolo decisivo l’avrà il capo dello Stato che proprio ieri, da Amman, ha parlato di mercato del lavoro. Un annuncio: «Il disegno di legge sarà presentato da qui a qualche giorno. Domani sera (oggi per chi legge, ndr) vedrò lo stato dell’arte perché il presidente del Consiglio doveva esaminare il progetto preparato dal ministro Fornero... e vedrà se è pronto per sottoporlo alla mia firma». Poi, un messaggio politico: «La mia firma è soltanto di autorizzazione alla presentazione al Parlamento in quanto non è un decreto legge». Traduzione: posto che il testo definitivo ancora non c’è (trattasi di una bozza di 26 pagine), e sul nodo dell’articolo 18 la formula «salvo intese» prefigura ulteriori trattative, la partita è ancora apertissima. È molto probabile che sia proprio Napolitano a «consigliare» a Monti di lavorare per trovare «ulteriori convergenze» in Parlamento. Questo in politichese. Terra terra: caro Monti, lavora per trovare un accordo con l’Abc. Anche a costo di cedere qualcosa. Certo, il Colle comprende le ragioni del premier: «Si può avere l’opinione che si vuole, ma quando si ritiene di dover intervenire sulla struttura delle relazioni industriali e su quella della contrattazione che richiedono di essere riformate - ha detto il presidente della Repubblica - lo si fa nella convinzione che ciò possa agevolare la crescita degli investimenti in Italia». Da qui a sottoscrivere la posizione dura ce ne corre.
Anche perché, in queste ore, tra i partiti di maggioranza si stanno aprendo degli spiragli. Bersani: «Cambiamo l’articolo 18 ma insieme - ha detto il leader del Pd - Facciamolo subito, prima delle elezioni amministrative di maggio». E ancora: «L’intesa è vicina, basta un po’ di senso di equilibrio». La posizione del Pd è nota: modello tedesco. Che prevede che sia il giudice a decidere per il reintegro o l’indennizzo in caso di licenziamento. È chiaro che Monti non può arrivare a rimangiarsi in toto quanto detto («La mia riforma è seria ed equilibrata») ma margini di trattativa ci sono ancora. Insomma, il premier potrebbe cedere un po’ sulla flessibilità in uscita per «salvare» Bersani, incassando però il via libera al provvedimento in tempi stretti.
E il Pdl? Alfano non chiude, anzi: «Fare insieme la riforma del lavoro è meglio che farla separati. Il problema è cosa si fa se la Cgil dice no. La nostra preoccupazione è che l’agenda alla fine la faccia il sindacato e non il governo. Se fosse così a noi non va bene». Ecco il paletto: la Camusso ha già giocato: resti fuori dalla partita.

Accuse di collateralismo che Bersani respinge al mittente: «Noi ragioniamo con la nostra testa, non con quella della Cgil». Dal canto suo, Monti non si sbilancia e, prima di imbarcarsi per far rientro in Italia, conferma soltanto che «la riforma aumenta sensibilmente la flessibilità per le aziende nella gestione della forza lavoro».

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