Colosseo, ecco la storia infinita del restauro

Come «smarrire» 6 milioni di euro e aspettare da 16 anni il termine dei lavori. Ovvero la storia infinita del restauro dell’Anfiteatro più famoso del mondo. Il Colosseo. Quando si parla di Colosseo, tutto è colossale. Anche i tempi. Quelli che servono per dare un minimo di ripulita alle antiche mura, migliorare la sicurezza, riaprire l’arena ai visitatori. L’Anfiteatro Flavio è il monumento più famoso del mondo, ma il 70 per cento resta inagibile per motivi di sicurezza. La vicenda sembra tratta di peso dall’Odissea e riecheggia la mitica tela di Penelope. Un passo avanti e due indietro.
La storia inizia nel lontano giugno 1992. Quando, con una convenzione stipulata con il ministero per i beni e le attività culturali, la Banca di Roma (poi divenuta Capitalia s.p.a.) s’impegnava a stanziare 40 miliardi di lire per il restauro del Colosseo, da erogarsi nel quadriennio successivo, prevedendo anche un aumento della cifra in corso d’opera. Il ministero istituiva nel 1995 una commissione scientifica, con il compito di affiancare la soprintendenza archeologica di Roma nella programmazione delle opere e degli esami propedeutici al restauro e nella progettazione ed esecuzione degli interventi di recupero. Alle tre università romane venivano affidate le ricerche per conoscere lo stato di sicurezza dell’Anfiteatro. Il restauro si sarebbe dovuto completare entro il 2002, secondo la soprintendenza. Purtroppo nella Città Eterna tutto è... eterno. I lavori, iniziati nel 1998, andavano avanti col contagocce. I maligni, mormorano, per far durare più a lungo possibile il ritorno d’immagine. Finché nel 2004 lo sponsor sospendeva definitivamente i finanziamenti. Stupore, sconcerto. Anche perché, affermava la soprintendenza, rimanevano da erogare ancora 6,2 milioni di euro dei 20 pattuiti.
Nel dicembre 2006 Fabio Rampelli, deputato del Pdl, con una interrogazione, primo firmatario Ignazio La Russa, chiedeva spiegazioni all’allora ministro per i rapporti con il Parlamento, Vannino Chiti: «Non si comprendono le reali ragioni del blocco dei lavori e, conseguentemente, i motivi del mancato utilizzo dei fondi, solo in parte stanziati - scriveva -. Dopo tanti anni il restauro permane nello stato di perenne incompiutezza, nonostante la soprintendenza abbia manifestato più volte l’intenzione di voler portare a termine i lavori di ripulitura delle volte». «I restauri a campione, operati con tecniche e metodologie differenti, hanno lasciato sulle mura due colori diversi: una parte più chiara, su via dei Fori Imperiali, le altre di colore grigio-scuro», precisava Rampelli.
Il ministro rassicurava: «Capitalia ha comunicato, proprio nei giorni scorsi, la ripresa delle erogazioni dei finanziamenti. Ciò consentirà il riavvio dei lavori di conservazione, che sono assolutamente indispensabili». Tutto a posto? Per la risposta basta fare una passeggiata sotto il Colosseo. Turisti, centurioni romani, guide, gelatai, ambulanti. Tutto. Meno che lavori.
«Dalla firma della prima convenzione sono passati 16 anni, è evidente che in 16 anni si potevano restaurare non solo il Colosseo ma anche altri beni architettonici e ambientali», rimarca Rampelli: «La colpa? La sciatteria della sinistra.

Rutelli e Veltroni, ex sindaci di Roma, entrambi ex-ministri per i beni culturali, hanno preferito puntare su Meier, Calatrava, Fuksas. Dimenticando, nonostante i cospicui finanziamenti a disposizione, il monumento più famoso del mondo: l’Anfiteatro Flavio».

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