Colpo di scena, la televisione nuoce gravemente agli scrittori

Colpo di scena. La televisione nuoce gravemente agli scrittori. Sono finiti i bei tempi delle comparsate al Maurizio Costanzo Show, quando bastava sedere sul divanetto del Parioli per diventare un maître à penser. Bastava sorridere, mostrare alle telecamere il libro appena stampato e dire due battute brillanti tra una strimpellata, un balletto e una storia strappalacrime per scalare l’empireo dell’intellighentia e la top ten delle copie in libreria.
Oggi il vento è girato. Anzi chi tocca le poltroncine bianche di Bruno Vespa diventa un appestato. L’accademia lo snobba, i recensori pure, la cultura gli volta le spalle. Il povero Paolo Crepet, per colpa delle sue apparizioni televisive, pare sia oggetto addirittura di una persecuzione. Sentite come piagnucola in un’intervista rilasciata ad Aldo Cazzullo sul Magazine del Corriere della Sera: «Il mio libro ha superato il mezzo milione di copie, ma tutti fanno come se non fosse uscito. Opere che hanno venduto un decimo vengono salutate come casi letterari: io ho avuto una sola recensione, sul Giornale di Sicilia. Sono un allievo di Basaglia e mi trattano come una macchietta televisiva». Paolo Crepet, per i pochi che non lo avessero ancora avvistato in televisione, è lo psichiatra che - occhialino multicolore, golfini sgargianti e ciuffo argentato - conduce lo spettatore nei più oscuri meandri di menti complesse, da Erika alla Franzoni. Ora ha scritto un saggio per spiegare che I figli non crescono mai, e nessuno se lo fila. Possibile? Eppure, dice, «il mio primo libro sul suicidio giovanile fu recensito con entusiasmo dall’Unità. Sul Manifesto Starnone mi dedicò una pagina. Sul Sole 24 Ore ne scrisse Umberto Galimberti. Ma era prima che cominciassi con la tv».
Allora chiediamoci: quello di Crepet è un caso isolato, da ricollegare a conventicole accademiche e odi personali, per cui i colleghi, invidiosi del suo successo, lo ignorano (come lui vuole far intendere)? Oppure è l’inizio di una nuova era, dove il già complicato rapporto tra cultura e televisione si fa ancora più difficile?
È azzardato dire che McLuhan ha vinto? Forse no, perché abbiamo fatto un’indigestione di tv e sempre più oggi è vera la teoria che il mezzo è il messaggio. Quindi il mezzo uccide il messaggio.

Quindi la televisione uccide il libro e il suo autore. La tesi è sicuramente controtendenza, ma ha un suo fascino. Un avvertimento agli scrittori e a quanti rischiano di diventare vittima della dittatura della televisione.
caterina.soffici@ilgiornale.it

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