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Coltivare speranza per vincere la paura

"La speranza ha due bellissimi figli, lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose, il coraggio per cambiarle"

Coltivare speranza per vincere la paura
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Speranza: Leone XIV si appresta a chiudere il giubileo dedicato alla "più potente" e insieme la "più umile" delle virtù cristiane. Una virtù che è, da sempre, per tutti noi, la parola-chiave del tempo di Natale e degli ultimi giorni dell'anno. Ma chiediamoci: la possiamo ancora coltivare in un mondo che fa di tutto per "ucciderla"? In effetti, i cittadini del pianeta sono oggi dominati proprio dal sentimento opposto: la paura. Le crudeli guerre che si rincorrono in ogni continente, le minacce delle autocrazie al mondo libero, la violenza che segna ovunque il ritmo della vita quotidiana, il dominio imperscrutabile della tecnologia, fanno in modo che un tetragono timore per il futuro gravi sulle nostre comunità. Eppure, come testimonia la saggezza popolare, la speranza non è facile a morire. Perché in fondo è l'unico sentimento che, in ogni ambito della vita, ci aiuta ad andare avanti. Perciò vale la pena, nonostante tutto, di "resistere" ai segni dei tempi e continuare testardamente a coltivarla. Anche alla fine di questo "anno orribile".

Del resto, qual è l'autentico significato della parola speranza? Attenzione, essa non rappresenta una facile predisposizione all'ottimismo né, viceversa, una rassegnata attesa di tempi migliori. "La speranza ha due bellissimi figli, lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose, il coraggio per cambiarle". Così scriveva Sant'Agostino rendendo chiaro come sperare significhi "combattere" per le cose in cui si crede. Anche per Aristotele la speranza è "il sogno di un uomo sveglio". Non il pio desiderio di una persona "paziente" ma la forza vitale che guida gli uomini nel loro cammino. I padri della Chiesa e della filosofia dunque concordano: la speranza non è esclusiva prerogativa di chi crede. Perciò, di fronte alle minacce che ci circondano, fede religiosa e razionalità laica possono condividere gli stessi "sdegni" e mettere in campo lo stesso "coraggio". Verrebbe da aggiungere: non solo possono ma debbono.

Cosa vuol dire altrimenti "sperare" (assicurandole soldi e armi) che l'Ucraina ottenga una pace giusta? O "sperare" che la tregua in Medio Oriente porti a una pace che metta in sicurezza Israele e garantisca, nel contempo, un democratico Stato palestinese? Oppure ancora, "sperare" che le nostre democrazie riescano a respingere gli attacchi che puntano a erodere i loro valori?

Sperare vuol dire allora lottare perché la Storia umana torni a essere ispirata dalla "centralità della persona" non da quella dello Stato o della Razza. Quella centralità che ha disegnato le fondamenta della nostra civiltà senza distinzione di appartenenze filosofiche o religiose. Ciò che è testimoniato, del resto, da diverse ma simili mitologie di fondazione: la ribellione di Socrate, il sacrificio di Gesù, il viaggio di Ulisse. Sono questi i tre inni alla libertà che hanno edificato la nostra civiltà. Credere, nonostante ogni avversità, nell'uomo e nella sua ragione: questo è il codice genetico dell'Occidente. Smarrirlo significherebbe decapitare la nostra storia. Allora davvero vincerebbe la paura.

Da questo punto di vista il verbo sperare si rivela, appunto, sinonimo del verbo credere. Un verbo rivoluzionario in tempi nei quali diversi pulpiti, culturali e politici, hanno fatto e fanno a gara nel consigliarci che non vale più la pena di credere in nulla. Una sorta di imperativo categorico che si è insinuato tra noi dopo il tramonto delle ideologie. Ecco, sperare significa resistere a questa deriva nichilista. Controprova ne sia il fatto che Friedrich Nietzsche, il più formidabile "negazionista" dei valori occidentali, considerava la speranza come "la virtù dei deboli".

Sperare significa, infine, anche riabilitare un'altra parola, oggi dimenticata, che stava molto a cuore a Karol Wojtyla: "opera". Solo le opere, infatti, gli esempi concreti, le testimonianze della vita quotidiana, l'esibizione personale e collettiva di un cammino virtuoso, possono rendere di nuovo credibili i valori delle comunità occidentali. Ciò che chiama in causa tutti: governanti e singoli cittadini, entrambi troppo spesso vittime di una disperata passività.

Ecco allora che cos'è la speranza: "una lotta attraverso le opere" da affrontare con grande coraggio. Giacomo Leopardi pensava che essa fosse fonte di piacere anche soltanto nell'attesa. Sta perciò a noi fare in modo che il difficile "sabato del villaggio" di questo tramonto del 2025 diventi, alla fine, domenica.

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